
Funeral Party: grasse risate nella nobile campagna inglese
Frank Oz nel 2007 deve essere rimasto folgorato dal cinema e dalla letteratura british, anzi very british: come spiegare altrimenti l’idea che sta alla base di Funeral Party?
Già regista dello scandaloso e scorrettissimo – perlomeno all’epoca – In & Out, Oz ha girato un condensato di tutti i migliori stereotipi dell’isolotto più piovoso d’Europa – è Europa anche se c’è stata la Brexit? In ogni caso: c’è la campagna verdeggiante, c’è l’alta borghesia, indebitata fino al collo ma decisa a mantenere apparenze di nobiltà, ci sono le liaisons fra amici e parenti, ma soprattutto c’è lui: lo scandalo incombente, sospeso nell’aria, quello che tutti subodorano ma nessuno osa nominare. Situazione ancora più disdicevole, se il protagonista dello scandalo in questione giace beatamente in una cassa di legno di due metri per tre ed è attorniato da cari e meno cari desiderosi di porgergli l’ultimo saluto.
Funeral Party è difficile da inquadrare: all’apparenza è una saporita commedia degli equivoci come ce ne sono tante. Ma allora, come mai fa così ridere? Perché intendiamoci, qui non si tratta di sorrisetti a mezza bocca o di considerazioni su quanto siano sempre meravigliosamente acuti gli inglesi: qui ci si spancia dalle risate, si cade dalla sedia, si hanno le proverbiali lacrime agli occhi.
Buona parte della sua perfezione risiede nel cast: nessun nome altisonante, ma tutti attori di ottimo livello. Si parte da Matthew MacFadyen, figlio del caro estinto sopraffatto dalle mille incombenze, ad Alan Tudyk, innamorato che viene drogato a sua insaputa con effetti esilaranti, a Kris Marshall, suo antagonista deciso a conquistare la donna del contendere. E su tutti lui, che dice meno battute ma è la pietra dello scandalo, e mai definizione fu più appropriata: Peter Dinklage. Se da un lato questo nano è un caratterista perfetto, capace di passare dai ruoli tragici di Nip/Tuck a quelli avventurosi di Game of Thrones a quelli palesemente comici, dall’altro spiace che venga sempre relegato a fare la caricatura di sé stesso: sì, perché Dinklage è davvero un bravo attore. Pochi altri sarebbero capaci di starsene seduti in silenzio durante un funerale a dir poco improbabile, per poi sfoderare al momento giusto delle foto, diciamo così, compromettenti.
Del resto viene dalla commedia inglese, quella commedia che può vantare autori del calibro di Alan Bennett. E non è nemmeno un caso che uno degli attori, Rupert Graves, abbia recitato in La pazzia di Re Giorgio, film la cui sceneggiatura è stata scritta proprio da Bennett; nel caso di Funeral Party nessuno lo dice apertamente, ma dal primo all’ultimo minuto è tutto un lungo omaggio a La cerimonia del massaggio, libro del drammaturgo inglese che, indovinate, racconta proprio le vicende tragicomiche di un funerale e degli intrallazzi sottostanti, etero o omo che siano.
Già, perché se gli amanti canonici sono disdicevoli, ma tutto sommato tollerati, le cose cambiano quando si scopre che all’ormai trapassato pater familias piacevano guinzagli, travestimenti e vizi vari ed eventuali. Aggiungete a tutto questo una spolverata di gag magari di bassa lega, ma immortali, del tipo un uomo nudo che passeggia sui tetti, e vi sembrerà di essere stati invitati al miglior party della vostra vita.