
Funeralopolis: affrontare i propri demoni è un atto di coraggio
L’idea iniziale era quella di parlarvi di Notting Hill, definito da tutti uno dei film più romantici di sempre. Ma sono davvero così carini Hugh Grant e Julia Roberts? Io direi di no, vista la mia delusione post titoli di coda. Forse sarò uno dei pochi che non hanno apprezzato il film di Roger Michell. Il suo essere finto e poco credibile mi ha allontanato dalla realtà dei due personaggi, senza riuscire a convincermi del tutto. Così ho passato qualche giorno a cercare di ordinare le mie idee per buttare giù una critica credibile, spiegando le cose che non hanno funzionato.
Sabato però ho deciso di fare una fuga a Milano, tra l’altro abbastanza roccambolesca tra BlaBlaCar spariti e bottiglie spaccate. Ovviamente quali sono i luoghi che uno non può evitare di visitare? Il Duomo e i navigli.
Esiste però anche una periferia anestetizzata dalle luci della ribalta, piena di difficoltà, con zone che definire poco turistiche è quasi un eufemismo.
A cosa serve questo inutile preambolo? Scopriamolo insieme.
Funeralopolis
Vice, magazine d’informazione famoso per articoli spesso fuori dal comune, definisce questo film con una frase semplice ed emblematica: “Funeralopolis cambierà per sempre il modo di vedere Milano.” Effettivamente è cosi.
Vash e Felce sono due amici tossicodipendenti, cresciuti tra Bresso e l’hinterland milanese. La loro vita è divisa tra rave party, battaglie rapper e droga. Tanta e di tutti i tipi.
Quello che viene ripreso dalla telecamera è vero. I buchi lasciati dalle dose di eroina, le tracce di vomito sul pavimento o il degrado suburbano.
Funeralopolis non è la storia di finzione scritta per il Cinema. È un documentario girato senza paura da Alessandro Redaelli, che ha scelto di vivere insieme per oltre un anno e mezzo insieme a queste giovani per raccontare non solo i loro drammi, ma per umanizzare chi spesso vive dimenticato da una società che non ha saputo prendersi cura di tutti.
Il bianconero, oltre a richiamare ed essere un omaggio a La Haine di Mathieu Kassovitz, diventa un filtro tra lo spettatore e i protagonisti, in modo da focalizzare l’attenzione su questo microcosmo.
È un film molto crudo, e per questo motivo inevitabilmente ha creato scandalo e polemiche. Il regista durante un’intervista ha raccontato che molti problemi di distribuzione sono stati però dovuti alle bestemmie che si sentono ogni tanto durante i dialoghi, rispetto all’uso della droga. Sicuramente un paradosso tipico della nostra cultura e perbenismo all’italiana.
Se la droga è sicuramente il filo che collega e gestisce le relazioni dei protagonisti è anche un demone dal quale si cerca di fuggire. Diventa un rifugio nel quale è facile nascondersi per superare o non affrontare i problemi della vita.
A differenza di Trainspotting o degli altri film che affrontano queste tematiche, qui sembra esserci una maggior speranza. L’amicizia, l’amore e la fiducia che ognuno prova a dare ai propri compagni di sventura sono le soluzioni per uscirne fuori o almeno provarci.
“Dio non esiste e noi siamo qui abbandonati da soli”, è la frase chiave per comprendere questa situazione di disagio nella quale molte persone vivono, nonostante sanno di non compiere la giusta scelta.
Vash e Felce, all’inizio messi davanti alla telecamera sembrano atteggiarsi da divi mancati, ma pian piano lasciano cadere la maschera tirando fuori i propri demoni e le proprie insicurezze. Sicuramente questo è un grande gesto d’amore che compiono verso se stessi, in maniera catartica e fondamentale per rinascere.
Funeralopolis è un film underground che merita di essere visto per la sincerità e il coraggio con cui affronta temi difficili e situazioni complicate davanti alle quali spesso è più facile chiudere gli occhi e girare alla larga. Milano, rimane sempre sullo sfondo, anche quando non viene estremizzata come la capitale dei business manager in giacca e cravatta o degli universitari viziati. Sono la periferia, le piccole case o i casermoni abbandonati a prendersi la scena, rappresentando un mondo consumato e indifferente al successo o all’apparire.
Dopo aver visto e conosciuto queste storie, ho sentito il bisogno interiore di provare a raccontare e consigliare questo documentario per, provare nel mio piccolo a regalare una speranza a chi non ce l’ha più o non pensa neanche di meritarsela.
Notting Hill invece è l’esaltazione plastificata dell’amore, della ricchezza e di una felicità posticcia. A me non piacciono le cose facili e luccicanti. Credo sia più importante e particolare trovare la bellezza nei piccoli gesti , soprattutto in quelli che spesso abbiamo sotto gli occhi, ma che per moda o mancanza di coraggio preferiamo evitare.
Perché io vorrei essere quello spirito libero capace di vivere in pace con me stesso, senza dover cedere a falsi compromessi o svendermi davanti a inutili speranze.
Ecco perché gli eroi sono Vash e Felce e i nemici hanno le facce di Hugh Grant e Julia Roberts