
Funny Face: L’esperimento di una rivoluzione che non (r)esiste
Mi hanno sempre insegnato che prima di fare un esperimento bisogna seguire delle regole. S’inizia facendo delle ipotesi su quello che si vuole scoprire, ci si organizza cercando tutto il materiale di cui si ha bisogno e poi si procede.
Alla fine di questo procedimento arriverà una conclusione che potrà essere uguale o diversa da quello che ci siamo aspettati e quindi, solo in quel momento, valuteremo se siamo rimasti soddisfatti o meno dal risultato.
Forse questo tipo di processo si può riscontrare anche mentre si guarda un film. Il regista, creatore di un nuova storia, ha una sua idea in testa che deve cercare di essere accattivante per attirare lo spettatore a vedere la sua opera, oppure se ne può fregare del riscontro del botteghino perché la sua opera è prima di tutto arte.
Dall’altra parte dello schermo, ognuno di noi, con i suoi vari gusti personali, decide di uscire di casa, prendere la macchina, andare al Cinema, mettersi in fila alla cassa e pronunciare quindi, pieno di speranza e curiosità, il titolo del film che vuole vedere.
All’arrivo dei titoli di coda sarà soddisfatto della sua scelta oppure rimarrà deluso, perché, nella sala affianco hanno proiettato qualcosa che forse avrebbe apprezzato di più.
Funny Face mi ha lasciato addosso un po’ l’ effetto del rimpianto e ora proverò a spiegarvi il perché.
Ipotesi
Ci sono due giovani emarginati che s’incontrano a New York con la voglia di condividere sogni, speranze e paure.
Il primo ad attirare l’attenzione sicuramente è Saul (Cosmo Jarvis) visto che ama girare con una strana maschera sorridente sul volto, ma questo sembra passare abbastanza inosservato in un America che forse sembra essersi abituata alle stranezze più vari. Io invece ho subito riposto le mie aspettative in lui pensando: “Beh questo tipo ci regalerà delle soddisfazioni”
Non si hanno molte informazioni sulla vita di questo ragazzo, ma si può capire che nutre rabbia verso qualcuno/qualcosa, si scoprirà poi il motivo, e che ha una grande passione per James Dean. Qualcuno lo ha paragonato a Joker, forse più per moda aggiungerei io, mentre ci ritrovavo una forma d’innocenza vicina alla figura di Peter Parker nella sua incomprensione di essere addirittura un possibile eroe.
Una sera incontra Zama (Dela Meskienyar), una giovane mussulmana, che dietro al suo niquab nasconde il suo mondo, senza far capire se la sua è solo una scelta religiosa, oppure un modo per sentirsi protetta.
Tra i due nascerà un dolce rapporto di complicità, amicizia, e magari amore.
Tesi
Saul e Zama in realtà vengono scelti per rappresentare chi sembra essere ai margini del sogno americano, giovani che non riescono a integrarsi con la società, rifiutando i principi del capitalismo. Per esaltare quest’idea e rafforzala, ci viene presentata all’opposto la figura di un gruppo di super ricchi, forse solo all’apparenza, che ha come unico obiettivo quello di fare soldi, soldi, soldi.
Uno in particolare, che assume la figura del nemico, vorrebbe buttar giù la casa di Saul per costruire un parcheggio, tutto con una visione di gentrificazione, costruendo per chi può permettersi di spendere senza remore cifre folli, a discapito della maggior parte della comunità.
Ci sono due momenti chiave per conoscere meglio chi è il ricco speculatore edilizio (Jonny Lee Miller). L’orgia che organizza in casa sua, dove rimane inerme a guardare le tre donne e il dialogo che ha con il padre.
Un uomo che ama esagerare, sentirsi un divinità per poi, abbassare inerme la testa, quando arriva a fare i conti con la realtà. Addirittura ha paura di un qualcosa che nemmeno conosce. Fragilità che rimangono nascoste a Saul e alla sua voglia di vendetta.
C’è quindi l’idea di una rivoluzione che sembra esplodere da un momento all’altro senza però raggiungere mai raggiungere il suo apice. Manca la svolta finale che ci fa saltare sulla sedia. Un tiro a canestro che prende il ferro, sbatte sul tabellone ed esce.
Conclusione
Tim Sutton, sicuramente ha talento. Mi ha incuriosito il suo modo di girare alcune scene, di ricreare suspance nei dialoghi, ma forse in un film del genere c’era il bisogno di una stoccata finale. Per questo sono curioso di recuperare The Dark Knight, dramma legato alla strage in un Cinema durante la proiezione di Batman. Forse lì le attese e i dettagli non hanno bisogno di esplodere in un turbine di adrenalina, ma possono rimanere sospesi nel tempo e nello spazio.
Sono anche sicuro però che la scelta di non mettere in scena questa rivoluzione sia molto ideologica, quasi ad affermare che ormai siamo vittime di questo sistema. Velleità che all’inizio possono portare alla nascita di un utopia, ma che poi decadono in una distopia dalla quale l’America ormai è condannata. E no la colpa non è solo del Trumpism, come direbbe qualcuno, ma è da ricercare nei giovani che hanno perso la voglia di sognare e di correre alla ricerca di quel qualcosa di più.
Saul almeno ci prova mentre Zama lascia perdere tutto. Il problema è che da un rivoluzionario in maschera ci si aspetta di più, anzi si vuole di più. Da un film con Funny Face mi sarei aspettato qualcosa di più, che si avvicinasse almeno un po’ a quella potenza di V per vendetta, invece mi sono ritrovato a vedere un giovane che compra caramelle e che si arrabbia perché i New York Knicks perdono tutte le partite.