Game of Thrones è finito: un finale agrodolce per la serie del decennio
Per chi si fosse perso le puntate precedenti ecco le nostre recensioni:
8×02 – A Knight of the Seven Kingdoms
ATTENZIONE SPOILER SELVAGGI DA QUI IN AVANTI

“L’amore è la morte del dovere”
Per questa stagione gli show-runner ci avevano promesso un finale agro-dolce, un finale che ci avrebbe spiazzati, un finale in puro stile Game of Thrones. Lo abbiamo veramente avuto?
Andiamo con ordine.
Abbiamo lasciato i nostri eroi in preda alla furia di un drago e – soprattutto – di una regina che ha raso al suolo l’intera Approdo del Re. Le ceneri fumanti che cadono sulla capitale a mo’ di nevischio sono la cupa testimonianza del fatto che Varys aveva ragione: Daenerys ormai combatte solo per il potere, solo per il Trono di Spade. Restare umana non è più una delle sue priorità.
La proporzione del suo errore si legge tutta sull’espressione attonita di Tyrion, che si aggira come catatonico tra le rovine della città, dirigendosi verso il luogo al quale, con tutta probabilità, ha pensato più intensamente durante l’assedio: le catacombe sotto la Fortezza Rossa, là dove giacciono avvinghiati i cadaveri di Jaime e Cersei.
Ormai è chiaro a tutti (a tutti coloro che ancora ragionano) che la follia di Daenerys non sia più contenibile e che, se lasciata perdurare, potrebbe portare a massacri ancora peggiori dei precedenti. Ci vuole qualcuno che la fermi e quel qualcuno non può che essere Jon. Il Jon che fino a questo momento nell’ottava stagione è stato poco più che una comparsa musona accanto a una Daenerys sempre più assetata di sangue.
Sarà proprio Jon, dunque, a piantarle un coltello nel cuore, stroncando sul nascere il regno di una despota sedicente liberatrice, colei che avrebbe spezzato la ruota forgiando un’immensa catena con l’alito di fuoco del suo Drogon. Lo stesso Drogon che, in seguito alla morte della madre, scatena tutta la sua ira contro il vero colpevole: il Trono di Spade, che viene definitivamente distrutto dopo aver rappresentato per decenni il simbolo dell’oppressione, del potere, dell’egoismo, del reame.
Baelish: Tu lo sai cos’è il reame? Sono le mille lame dei nemici di Aegon, una storia che noi accettiamo di raccontarci ancora, e ancora, finché dimenticheremo che è una fandonia.
Varys: Ma che ci resterà il giorno in cui abbandoneremo questa fandonia? Il caos, un pozzo profondo che aspetta d’inghiottirci tutti.
Baelish: Il caos non è un pozzo. Il caos è una scala! Tanti che provano a salirla falliscono e non ci provano più: la caduta li spezza. Ad altri viene offerta la possibilità di salire, ma rifiutano: rimangono attaccati al regno, o agli dei, o all’amore. Illusioni. Solo la scala è reale. E non resta che salire.
A questo punto però, orfani di una regina impazzita, privati di un Jon/Aegon Targaryen che – inspiegabilmente – viene imprigionato e non ucciso da Verme Grigio, i Lord dei Sette Regni si riuniscono per stabilire cosa fare dello stesso Jon e del Reame.
È allora che Tyrion sale in cattedra con uno dei monologhi più belli di tutte e otto le stagioni e ci spiega come il sovrano più papabile a causa della sua storia personale e del suo vissuto sia Bran, il Corvo con Tre Occhi che non ne voleva sapere di diventare Lord di Grande Inverno ma che invece (forse perché già sapeva?) ci mette un 6-7 secondi ad accettare la corona.

Prima di dare un giudizio finale facciamo però un ragionamento: da quando è iniziata questa ultima stagione molti commentatori (tra cui anche noi del MacGuffin) sono stati parecchio severi, attirandosi insulti da parte di quelli che li (ci) accusavano di criticare questi ultimi sei episodi solo perché “non stanno succedendo le cose che volete voi”.
No. Non è questo il punto.
Perché il bello di Game of Thrones, fin dal primo episodio, è sempre stato il suo vizio di sbattersene degli umori del pubblico, anzi, quando possibile andargli contro, stupirlo, farlo sentire in balia di qualcosa più grande di lui. Figuriamoci quindi se chi ama Game of Thrones si lamenta perché le cose non vanno come sperava.
No, il problema è un altro, ovvero che la serie ha progressivamente perso di spessore e questo (sarà banale ma è innegabile) è cominciato quando si è superato l’argine fatidico del quinto libro (A Dance with Dragons).
Altra decisione scellerata (e altrettanto inspiegabile) è stata quella di ridurre le ultime due stagioni da 20 a 13 episodi in tutto, allungando alcuni di questi, ma – complessivamente – perdendo 2/3 ore di girato che, ne siamo certi, avrebbero di certo contribuito a rendere alcuni passaggi più chiari, alcuni spostamenti più coerenti, alcuni cambiamenti nei personaggi più giustificabili, alcuni colpi di scena meno “a caso”.
E poi c’è il discorso del pubblico, ma lo faremo più avanti.
Valutazioni sparse
Dunque, per venirne a una, possiamo dire che The Iron Throne sia del tutto insufficiente?
No.
Lo scioglimento di alcuni personaggi è buono, vedi Arya novella Ulisse che parte alla ricerca di quel qualcosa che a Westeros ha perso e che forse troverà al di là del mare là dove “le mappe si interrompono”; Sansa, che ottiene ciò che in realtà ha sempre desiderato, ovvero una corona e la fiducia in se stessa; Tyrion che “paga” il prezzo dei suoi errori di valutazione tornando a indossare l’odiata/amata spilla da Primo Cavaliere; Bronn, Sam e Brienne che diventano ciò che da tutta la vita agognano: un ricco, un maestro, un cavaliere.
Jon e Daenerys, invece, sono stati letteralmente gettati dalla finestra, e non in questo episodio, ma dall’inizio della stagione.
Lui che non riesce più a prendere un’iniziativa, che continua a fare una faccia che vorrebbe essere perennemente attonita e ripetere fino alla nausea “She’s my queen”, salvo poi pugnalarla trenta secondi dopo in una scena davvero stucchevole.
Lei che un bel giorno (all’inizio della 8×01) si è svegliata Hitler e ha deciso di dar fuoco al mondo e sottomettere anche le marmotte della val Brembana. Così. In cambio di qualche “Dracarys” a buon prezzo.
Bran invece… Bran non comunica niente. È arrivato ad Approdo del Re già sapendo quello che sarebbe successo, ma nulla di ciò che gli accade pare toccarlo, un po’ per quanto Isaac Hempstead-Wright recita male, un po’ per quella che è la Three-Eyed-Raven-Face.
Mi è piaciuto il fatto che, con lui sul trono, Game of Thrones abbia assunto una specie di composizione ad anello: tutto inizia e finisce con Bran, che non ha mai desiderato il potere, ma che forse sapeva da tempo di esservi destinato.
Lo stesso discorso, però lo si potrebbe fare per Jon, che di certo aveva ben più motivi per meritare (anche senza averla mai reclamata) la corona: tipo essersi beccato tot coltellate a tradimento per aver voluto salvare vite umane, essere sempre stato nobile e corretto (fin troppo!), essere figlio legittimo di Rhaegar Targaryen, aver salvato l’umanità mettendo insieme l’esercito che ha fermato gli Estranei a Grande Inverno e aver ucciso la regina che ha sterminato i tre quarti di Approdo del Re.
Ma la meritocrazia, si sa, non sempre esiste.
La scelta di far trionfare Bran pare quindi un modo degli showrunner per non fare finire il tutto così come la maggior parte del pubblico aspettava, anche se ciò in parte tradisce l’intero senso dell’opera: in A Song of Ice and Fire non trionfa né l’Ice né il Fire, bensì Bran lo Spezzato.
Cosa rimane dunque di Game of Thrones?
Di sicuro i numeri di una serie che difficilmente verrà eguagliata per la sua capacità di appassionare un pubblico, purtroppo, sempre più ampio, il cui allargamento ha determinato visibili compromessi per mettere d’accordo la sempre più folta platea (vedi, tanto per fare un esempio, l’improvvisa scomparsa delle scene di sesso e dell’uso di una violenza spesso più edulcorata che in passato).
Ma rimarrà anche una storia, un mondo, delle icone che ormai ci appartengono, che vivono tra noi e che una stagione fiacca e svogliata non è affatto riuscita a rovinare.
Per tutti quelli che proprio non ce la fanno a trovare qualcosa di positivo in questa 8×06 consigliamo di confidare nel buon George R. R. Martin e che l’attesa a cui ci sta sottoponendo da ormai un’era geologica sarà ben ripagata.
Per quanto ci riguarda non possiamo fare altro che ringraziarvi per aver seguito Game of Thrones insieme a noi, per aver patito attraverso così tante puntate, vicissitudini, colpi di scena e aver sospirato con noi in attesa di un legittimo padrone del trono.
Il trono non c’è più, ma il padrone è arrivato.
Forse già da questa contraddizione in termini possiamo ricavare nuovi elementi di riflessione.
A tutti voi che ci avete seguito un candido e sempreverde Valar Morghulis.
Cosa succede sul web a chi tenta di criticare razionalmente l’ottava stagione di Game of Thrones
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