
Gatta Cenerentola: una fiaba cyberpunk per bimbi adulti
Raccontare Gatta Cenerentola non è facile. No, non lo è perché è un caso raro. Raro nel cinema, e soprattutto nel cinema italiano. Un film d’animazione italiano, roba strana. Quindi per semplificare il lavoro a me, e la comprensione a voi, vi racconterò la mia storia con questo film. Così, una cosa più intima, come intimo è questo film.
Il mio primo contatto con Gatta Cenerentola è avvenuto studiando un manuale di cinema, in cui il film era citato tra i film della rinascita del cinema italiano degli ultimi 20 anni.
Non sono uno di quelli che il cinema italiano dopo il Superspettacolo d’autore fa solo cacca, anzi. Ritengo che il cinema italiano, dagli albori sino ad oggi, abbia dato dei contributi fondamentali al cinema internazionale, spesso cambiando anche radicalmente la mia posizione.
Il periodo 1990-2010, che di solito viene visto come la fase di decadenza assoluta del cinema italiano, ha comunque partorito capolavori del calibro di La vita è bella, Marrakech Express, Mediterraneo, Caro diario, Gomorra, gli esordi di Garrone e potrei andare avanti. Rimane tuttavia innegabile che il cinema nostrano, soprattutto da dopo la fine degli anni ’70 sia entrato in declino. Che però fu più un declino produttivo, guidato da un pubblico che istruiva le sue aspettative al ribasso. Questa è la grande ferita che il fenomeno dei cinepanettoni ha lasciato al nostro cinema.
Quindi non avevo un pregiudizio verso Gatta Cenerentola IN QUANTO film italiano, ma lo avevo verso Gatta Cenerentola in quanto tale. E non so il perché. Penso fosse diffidenza o forse sarà stato che l’ultima volta che ho dato fiducia a un film italiano che pareva coraggioso ho preso un palo di diametro pari all’asse terrestre nell’orifizio preferito ai sodomiti.
Perciò mi sono tenuto questo titolo nel cassetto, lì, che mi ronzava in testa, per circa 6 mesi.
Poi un pomeriggio un amico mi invita a casa sua e mi dice che ha una perla in dvd che devo assolutamente guardare. Ora lo so anch’io: quella perla era Gatta Cenerentola.
E guardiamolo, allora.
MI DISPIACE INTERROMPERE LA POESIA, MA DA QUI SEGUIRANNO SPOILER.
Gatta Cenerentola è un film pieno di imperfezioni, che vive di imperfezioni e che è così affascinante proprio in virtù delle sue imperfezioni.
L’animazione non è fluida, anzi è spesso approssimativa. Il design dei personaggi è talvolta troppo schematico e legnoso. Forse il film si appoggia un po’ troppo sulla fiaba di Cenerentola col rischio di perdere in originalità. Ma è fantastico lo stesso.
Ma fatemi dare un minimo di contesto.
Prima dicevo che Gatta Cenerentola è un caso raro. E lo è. Perché è quasi un miracolo che un film del genere, peraltro d’animazione, abbia avuto luce in Italia. Innanzitutto per la tecnica, perché Gatta Cenerentola è animato con Blender, software opensource. In secondo luogo per lo stile, che è fortemente innovativo e davvero poco ha a che fare con qualsivoglia tradizione stilistica italiana. Francamente, se non fosse ambientato a Napoli non avrei nemmeno pensato che fosse un film italiano. E infine per il mezzo, che è l’animazione, decisamente poco praticata sul nostro territorio – Bruno Bozzetto costituisce un eccellente eccezione. Ma non solo: animazione che si fa portatrice di contenuti profondamente adulti.
Sostanzialmente, un miracolo.
Il rapporto con la fiaba è essenziale. Sia come modello narrativo che specificamente con la fiaba di Cenerentola, la cui rilettura è ammaliante e quanto mai attuale.
Cenerentola, che qui si chiama Mia, è vittima dei meccanismi sporchi della società che la circonda esattamente come lo era nella fiaba originaria. Qui, però, il tutto è traslato in una Napoli futuristica in cui l’ambizione di un uomo che sogna una società migliore viene frantumato dalla brama di potere del Re, che rappresenta la Camorra.
È interessantissimo lo slittamento di stile che il film subisce una volta che quel sogno viene infranto. Si passa da una Napoli luminosa e piena di prospettive, a uno scheletro di città invasa dallo smog e senza speranze. E l’estetica cyberpunk la fa da padrona.
Peraltro l’uomo che sognava una società migliore è proprio il padre di Mia e di cognome fa Basile, come l’autore dell’omonima fiaba a cui il film è ispirato.
Basile aveva brevettato questa particolare nave, la Megaride, che registra qualsiasi cosa accada al suo interno e la riproduce sotto forma di ologrammi. Ma c’è una particolarità. La nave produce gli ologrammi anche di eventi mai avvenuti.
Qui forse sta la pecca più grande del film, che più che una pecca è un peccato. Perché l’idea della nave e degli ologrammi è geniale e in alcuni casi funge da motore dell’azione – Mia, ad esempio, apprende le circostanze della morte del padre grazie ad essi. Ma nel complesso è un elemento troppo poco approfondito, tanto che ai più disattenti sarà sfuggito che la nave produca anche ologrammi di eventi mai avvenuti. Un peccato perché dietro quell’idea si poteva costruire un mondo immenso.
A livello filosofico la nave funziona un po’ come il pianeta Solaris nel romanzo omonimo di Stanislaw Lem. La nave studia, osserva chi sta al suo interno e produce ologrammi di conseguenza. E la casualità dell’apparizione degli ologrammi, dettata dall’usura della nave stessa, svolge quasi il ruolo di un inconscio collettivo fuori controllo e che letteralmente riporta a galla le nevrosi nascoste di una città malata. La stessa città che Basile voleva rendere un polo tecnologico.
Basile, già vedovo, prima di morire sposa Angelica, già madre di 6 figlie, che di conseguenza diventa la matrigna di Mia. E qui abbiamo apparecchiata la fiaba di Cenerentola.
Senza starvi a dire in quali punti la storia di Cenerentola e quella di Gatta Cenerentola si toccano vi basti sapere la trovata più interessante.
Il Re, soprannome di Salvatore Lo Giusto, per smerciare cocaina fabbrica delle scarpette che sembrano di cristallo ma che in realtà sono fatte proprio di bamba.
E poi Mia, ovviamente condannata a essere la schiavetta come Cenerentola, tra i suoi compiti ha altrettanto ovviamente quello di pulire. Sì, ma lei pulisce i cadaveri che la mafia uccide. La ragazza, peraltro, è afasica in seguito ai traumi subiti.
In pratica Gatta Cenerentola è una versione di Cenerentola non edulcorata.
E questo film è costellato di personaggi incredibili. Due su tutti sono proprio Angelica e l’agente di polizia Primo Gemito, il cui nome si porta appresso una simbologia determinante. Infatti i suoi genitori lo chiamarono così perché volevano una famiglia numerosa, e lui fu il primo. Primo Gemito rappresenta la vita, la speranza della vita, ed infatti sarà lui a salvare Mia nel finale. Tra l’altro è doppiato da un fenomenale Alessandro Gassman.
Angelica è invece un personaggio tragico, come un po’ tutti in questo film, ma lei in modo particolare è tragica quasi a un livello shakespeariano. Il monologo finale che rivolge a Mia rivela tutta la profondità di un personaggio che si rende conto di essersi fatto condannare dalle scelte sbagliate. E proprio per questo la sua ultima scelta sarà la prima scelta giusta.
In tutto ciò sto tralasciando tutta la simbologia legata ai gatti e alla Gatta, ma anche quella legata al merlo che Angelica chiederà a Mia di salvare.
Senza contare che la colonna sonora è strepitosa e profondamente legata al folclore napoletano. Le scene finali del film sono tutte accompagnate da una canzone struggente le cui parole rafforzano il significato delle immagini.
Non so che altro dire. Gatta Cenerentola è prezioso. O almeno lo è stato per me. È un film che corre tanti rischi, soprattutto quello di soccombere dietro ai propri difetti, che, ripeto, sono tanti.
Allo stesso tempo però non potrei immaginarmelo senza questi difetti: sarebbe completamente un altro film e perderebbe in magia.
Io vi lascio il trailer qui, così magari vi viene voglia. Una cosa è certa: ho scoperto che con le fiabe si possono raccontare le atrocità del mondo con occhi di bimbo.