Film

Gauguin: uno sguardo umano e disincantato sulla Polinesia

Ero sinceramente un po’ preoccupata per Gauguin. Temevo che fosse l’ennesimo pippone biografico sulla vita di un’artista. Del tipo: “è nato a Parigi anno x, era tormentato, si spaccava di assenzio, nessuno apprezzava i suoi quadri ed è morto depresso senza soldi”. Dai, non neghiamo l’evidenza: la maggior parte delle volte fanno così.

Invece sono rimasta piacevolmente sorpresa. Perché se c’è una cosa che mi ha sempre affascinata della vita di Paul Gauguin è proprio la sua scelta di trasferirsi in Polinesia. Poi dai, dopo aver visto Oceania non si può non esserne innamorati.

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sinceramente: ME COJONI!

SPOILER ALERT

Ciò che mi ha colpito maggiormente di Gauguin è il fatto che lui non viene rappresentato (solo) in quanto artista, ma in quanto uomo. L’immagine che, a mio parere qui sublime, Vincent Cassel gli conferisce, è quella di un uomo con tutti i suoi difetti e le sue debolezze.

È un uomo triste, malato, solo. A tratti cattivo. Emerge più l’uomo che il pittore. Troviamo più il paesaggio e gli abitanti locali che i quadri. E non è da considerare come un disvalore. Anzi. Troppo spesso gli artisti vengono eccessivamente idealizzati quando si parla della loro vita, fino a sembrare quasi delle “divinità”, degli esseri fantomatici.

Invece quello che ci viene detto qui è “guardatemi: sono un uomo come tutti voi“.

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Certo, oggi è considerato un grandissimo pittore, uno dei maggiori interpreti del post-impressionismo. Ma cerchiamo di discostarci da quest’immagine per concentrarci su quello che realmente il film ci mostra.

Alla Francia si dedica veramente solo qualche minuto, e non è che ne esca una così bella immagine. “Sto soffocando. Qui è tutto marcio, sporco, disgustoso. Non c’è più niente che valga la pena di essere dipinto”. Quindi che si fa? Scappiamocene in Polinesia. MICA SCEMO.

Ovviamente non è stata una scelta facile, soprattutto perché ha dovuto abbandonare la sua famiglia (che tra l’altro non lo raggiungerà mai), e i suoi amici pittori: “siamo tutti dei selvaggi, ma tu sei l’unico coerente“. Così gli dicono per salutarlo prima che partisse.

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Stacco netto e ci ritroviamo in Polinesia. Eh ma mica vediamo noci di cocco e lunghe spiagge bianche. Nono. Partiamo incastrati nella sua capanna. Di notte. Con il diluvio. Insomma, vediamo il mondo esterno che  riflette il suo mondo interno. Per tutto il film vedremo il paesaggio riflettere la sua interiorità.

Il cielo è spesso grigio, gli alberi e le piante lo schiacciano. Quando va a fare l’eremita in giro per l’isola, ad esempio, non lo troviamo su candide spiagge a prendere il sole. Non si vede la splendida acqua che c’è nel film Disney. È sempre sormontato dalla natura.

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Il primo che trova Cassel in sta foto vince un premio (peddire)

Ma non preoccupatevi, un raggio di sole arriva anche per il povero Gauguin. Infatti, in questo suo viaggio per l’isola incontra Tehura, colei che sarà non solo sua moglie, ma anche, e soprattutto, la sua musa.

Infatti, da quando la incontra, Gauguin dice di sentirsi di nuovo vivo, disegna e dipinge tutto il giorno. Rinasce, e così l’ambiente intorno a lui. I colori si fanno più accesi, la natura sembra prendere nuova vita. Vediamo il sole.

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MA DI COSA STIAMO PARLANDOOO

Per Gauguin lei era la personificazione di Eva, vigorosa e purissima. Infatti, Tehura è stata soggetto di moltissimi suoi disegni e dipinti. Tra questi troviamo un quadro intitolato Ia Orana Maria (Ave Maria), alla cui estrema destra troviamo una donna (Tehura) con un bambino e LE AUREOLE.

Siamo nel 1891. Immaginatevi la reazione dei conservatori e della Chiesa quando videro una Madonna “selvaggia”. Cioè lui ha preso la Madonna e l’ha messa nella giungla con un pareo sostanzialmente. Regà, non so se ci capiamo.

Tuttavia, dove si trovava Gauguin non veniva ancora largamente professata la religione cristiana e perciò gli fu facile spogliare il tema della Madonna con il bambino dalla classicità e dal bigottismo della Chiesa per trasfigurarlo nella natura lussureggiante della Polinesia.

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Ia Orana Maria

Nel film, però, Tehura non si esaurisce a essere musa. Lei è l’incarnazione della solitudine femminile di fronte al gigantismo del pittore. Infatti, la madre di Tehura, prima di lasciarla andare, aveva chiesto a Gauguin se lui fosse un uomo buono. Lui, esitando, ha risposto di sì. Come se ci dovesse pensare. E infatti noi spettatori vediamo che così buono proprio non è. Ma va bene così. Noi ci identifichiamo comunque, semplicemente perché è umano.

La madre aveva anche aggiunto che se Tehura non fosse stata felice sarebbe tornata a casa. E infatti, una notte, dopo un aborto spontaneo, Tehura chiede a Gauguin, in lacrime, di tornare a casa. Ma lui la prega di restare, quasi implorando. Esattamente come aveva implorato la moglie Mette di non lasciarlo e di seguirlo in Polinesia.

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Emerge quindi l’immagine di un uomo solo, triste, che probabilmente sente il bisogno di una donna quanto della pittura. L’unica differenza è che quest’ultima non lo lascerà, forse. Lui stesso dice “sono un artista e lo so“, nonostante nessuno al tempo stesse comprando i suoi quadri.

Successivamente, però, Gauguin abbandona la capanna, luogo della pittura, iniziando a lavorare in un porto e trasferendosi in una casa insieme a Tehura, che tiene saldamente con sé. Ogni giorno, quando esce per andare a lavoro, la chiude dentro casa: Tehura è prigioniera dei quadri quanto del loro autore. È come se fosse la sua bambola. Ogni momento per Gauguin è da immortalare in un disegno, in un dipinto. Anche quando Tehura visibilmente soffre.

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(Vi anticipo che a tratti il film risulta un po’ lentino, ma d’altronde la contemplazione della natura richiede il suo tempo).

È un film estremamente visivo. Ci mostra i quadri di Gauguin senza mostrarceli. Tehura stessa è come se fosse un dipinto nel dipinto. Le sue inquadrature sono già dei quadri ancor prima che Gauguin prenda in mano il pennello. La vediamo in carne ed ossa e raramente la vediamo sulla tela nel film. Perché ci basta così.

Perché forse non è vedendo i quadri che comprendiamo la pittura di Gauguin, ma la cogliamo in tutto quello che sta intorno a lui. Nella sua smania per dipingere, nella sua tristezza, nelle pose di Tehura.

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Lei è sempre lì pronta a farsi dipingere, a essere immortalata dalle mani di Gauguin su quelle tele bianche ricoperte di tutta la vivacità e i colori della Polinesia. Quelle stesse tele che inizialmente nessuno comprava, nessuno voleva.

Probabilmente Tehura stessa rappresenta la Polinesia, ed entrambe non lasceranno mai il cuore di Gauguin. E nonostante sappiamo che lui ritornerà per un breve periodo in Francia, questa non ci viene mostrata. E anche all’inizio del film non pensate di vedere la Tour Eiffel o  gli Champs-Élysées. Tutto quello che abbiamo sono interni estremamente opprimenti.

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L’ultima immagine che abbiamo, infatti, è ancora quella di un’isola, del mare, della natura. Perché questo non è un film SU Gauguin. È un viaggio nella Polinesia CON Gauguin. Sono coprotagonisti. È uno sguardo sulla natura e sulla natura dell’uomo, insieme così belle e così fragili.

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Martina Catrambone

Affetta da cinefilia sin dalla nascita, cresciuta a suon di film e cartoni. Sono andata al cinema per la prima volta a quattro anni e da lì non ho più smesso. Mi faccio tanti film mentali e studio cinema per provare a fare film reali.
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