
Ghost Stories – Il trionfo della paura sulle nostre menti
Parafrasando il maestro del brivido, Sir Alfred Hitchcock, siamo di fronte a un horror che vi turberà anche quando vi sentirete al sicuro, arrivati a casa dal cinema.
Non potrete sfuggire al richiamo della paura.
Ghost Stories, ed è subito amore. Sono ancora tramortito e folgorato dall’uscita della sala, eppure voglio portare testimonianza di un piccola perla del genere. Da buon masochista, non potevo sottrarmi alla visione di uno degli horror più acclamati dell’anno, in tutta solitudine; solo io e un altro paio di persone, una sala praticamente deserta, gelida (spero fosse solo per l’aria condizionata sparata a manetta), dove a farne da padrone era solo il silenzio. Non è un racconto di Stephen King, anche se non andiamo molto lontano.

Tratto da un’omonima opera teatrale, totally british in produzione, cast e regia, Ghost Stories è quanto un amante dell’horror nell’accezione sua più pura possa desiderare. Niente mockumentary con camera a mano e teenagers di bella figura, niente esorcismi da quattro soldi, niente di scontato per 98 minuti; un’esperienza totalmen…
Scusatemi ma sono ancora un po’ scosso… Sto peggio di un tifoso del Napoli dopo la partita di domenica. Datemi un secondo e torno da voi.
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Capitolo 1: straniamento
Dov’ero rimasto? Ah già… Ghost Stories. Credo che la parte più difficile sia proprio raccontarvi tutto senza fare spoiler. Sarei un criminale a svelarvi certi dettagli. Vi basti sapere che il Professor Goodman di professione smaschera finti fenomeni paranormali, cialtroni sensitivi e compagnia bella; un’occasione d’oro per lui, quindi, investigare su tre casi apparentemente irrisolvibili, inspiegabili.
Un’opera antologica, narrata per episodi/capitoli/casi (come questa recensione, sono troppo sul pezzo) e che nel cast ha attori di prima fascia come Martin Freeman e… Martin Freeman. Ah no, sì… ci sono anche il ragazzo di Black Mirror e The End of The F***ing World (Alex Lawther) e Andy Nyman (Peaky Blinders), che è pure uno dei registi! Scommetto 100£ che non conoscete l’altro. È Jeremy Dyson, ora datemi i soldi.
Diciamocelo, a primo impatto questo film non può sembrare, a tutti, un piatto prelibato. Non ha un’attrattiva esagerata, ha pure subito le conseguenze di una distribuzione pessima… eppure qui abbiamo l’essenza cinematografica della cacarella ai suoi massimi livelli.
Visivamente splendido, Ghost Stories fotografa benissimo ogni angolo della Gran Bretagna, al buio, sotto luci tenui e grigie, negli spazi aperti e nei cunicoli claustrofobici. Una realtà spiazzante e oscura, dove a vincere è solo un profondo senso di straniamento e persecuzione; tutto ciò in cui noi, e il protagonista, crediamo man mano si sgretola. Dubitiamo, ma non vogliamo dubitare. Ascoltiamo, ma non ci fidiamo e pensiamo che gli altri siano dei folli. A un certo punto, pure io ho cominciato a pensare di avere un spirito che aleggiava nel seggiolino affianco.
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Capitolo 2: paura
Tutto, e dico tutto, quello che più mi ha spaventato da quando ero piccolo era lì, ad aspettarmi sul grande schermo: rumori che sentiamo quando siamo soli in casa, il buio più pesto, la cantina, ex manicomi psichiatrici, bambole pelate, capre demoniache… Mancavano solo la finale di Champions di Istanbul e il Triplete interista e morivo sulla poltrona.
Scherzi calcistici a parte, il terrore più puro alberga in ogni fotogramma di Ghost Stories. È una mano che ti afferra le caviglie e ti trascina dentro una teatro degli orrori formato spettatore; alcune sequenze sono da perdere il fiato, frenetiche, con un ritmo crescente che poi rallenta… per poi ripartire all’impazzata.
Estenuanti movimenti di camera, un uso perfetto del montaggio e una colonna sonora in stile (scomodo il nome grosso) Bernard Herrmann (che emerge un po’ poco, ma quando si sente porca pu****a) riescono a sopperire al meglio a quei piccolissimi difetti che la pellicola ha: un leading man poco carismatico e qualche jumpscare gratuito e poco gradito, per non dire eccessivo. La formula usata per creare tensione è perfetta così com’è… perché esagerare?! Per forza mi vengono i capelli bianchi dopo.
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Capitolo 3: realizzazione
Che vuol dire tutto, e vuol dire niente. Significa che arriveremo a questo momento assillati, confusi e solo dopo, tutto ci sarà più chiaro. O forse no.
Verrà smascherata la finzione o ci arrenderemo alla “realtà”? L’astuzia di Ghost Stories sta proprio nel creare degli interrogativi enormi, giganteschi, e alimentare man mano la nostra curiosità, minuto dopo minuto. Un viaggio senza fine nella psiche umana, dove è il nostro cervello a parlare, vedere, sentire… mentre noi rimaniamo immobili di fronte alle paure, reali e non.
Il 2018 ci ha consegnato un film che ha un’identità fortissima, che fa la voce grossa e che ferma i battiti dello spettatore per un paio di volte durante la visione. Proprio dalla patria che ci ha dato The VVitch, il più bell’horror degli anni 2000, ecco un altro racconto terrificante, questa volta sul dolore e i fantasmi che perseguitano tutti noi.
Ghost Stories è figlio di un’idea della paura che non fa versare un goccio di sangue, che spaventa per quanto verosimile (passatemi il termine) e che nonostante questo strizza l’occhio a maestri del genere come Fulci, Bava e, perché no, a cult del nuovo millennio come Insidious. Non farete altro che ripensare a questo film che andrebbe apprezzato appieno solo con una seconda visione per coglierne ogni sfumatura.
È sotto il letto, dentro l’armadio, fuori dalla finestra…
Spaventarsi non è mai stato così piacevole.