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Gilmore Girls: un ritorno che si poteva evitare

Hype di mesi e mesi e poi la delusione in soli quattro episodi

Sì, chi di voi avesse letto il mio articolo entusiasta sul ritorno delle Gilmore con relativo trailer si chiederà dove stia la coerenza. Vi posso solo dire che l’entusiasmo c’era, non mentivo: ma più proseguivo nei nuovi quattro episodi di Una mamma per amica, di ben un’ora e mezza ciascuno, più mi chiedevo una sola cosa:

Perché?

Partiamo da un presupposto: Una mamma per amica è già in partenza una serie tv diseducativa. Sul serio, credo che un qualunque esperto in pedagogia si sarebbe suicidato se per caso avesse visto un episodio. Voglio dire, per quanto ci possa piacere l’idea di avere una madre che cazzeggia, che ci fa mangiare sul divano e che fa battute in continuazione, nessun essere sano di mente vorrebbe essere cresciuto a junk food, film trash e mentalità più infantile della propria. Nessuno vorrebbe sentirsi in colpa per non aver parlato alla propria madre prima del primo rapporto… potrei continuare, ma finiamola qui. Personalmente però, ho guardato (e soprattutto riguardato) questa serie come ne ho guardate tante altre, ovvero perché ogni tanto ho bisogno di guardare qualcosa di poco impegnato e, soprattutto, surreale negli eventi, nei rapporti. Insomma, qualcosa dove bene o male tutto si aggiusta, si risolve.

Non mi dispiaceva dunque l’idea di un ritorno Gilmore, anzi, ero molto contenta di non dover procedere ad una terza maratona. In un primo momento, per giunta, lo sono rimasta; anzi, ero persino emozionata! Le atmosfere erano sempre quelle di una volta, e avevo ore di puntate da godermi. Ma a un certo punto ho constatato che in me stava avvenendo la guerra che faccio quando sono troppo affezionata a qualcosa per criticarla, ma la rompiballe che è in me lo sta comunque facendo. Qualcosa, insomma, non andava.

Datemi qualcosa per cui continuare

Quel qualcosa altro non sono che i personaggi. Sviluppati male, con troppo poco spazio, peggiorati, diseducativi, talvolta persino insopportabili. Mi dispiace, ma non posso transigere sullo sviluppo malfatto dei personaggi in un’epoca nella quale il successo di molte serie TV si deve proprio a quanto lo spettatore si affezioni ad essi. Non tutti, chiariamoci, perciò per non sembrare troppo tassativa partirò dai personaggi che sono stati sviluppati bene, o comunque coerentemente rispetto alle precedenti stagioni:

Emily Gilmore

La nostra (amata?) nonna di Rory e madre di Lorelai, l’affascinante e sempre impeccabile Emily. L’abbiamo lasciata con tutte le sue costanti, la bella casa, la vita perfetta e organizzata, le Figlie della rivoluzione, il club del golf, il tutto sempre in abiti splendidamente eleganti. L’abbiamo lasciata con le sue manie invadenti e che periodicamente sconvolgono la vita delle due Gilmore più giovani, causando enormi litigi. La ritroviamo nella situazione più toccante suggeritaci già dal trailer: Emily, infatti, è rimasta vedova. La perdita di Richard Gilmore a mio avviso era già una grossa carenza della serie, ma è il pretesto per lo sviluppo del personaggio di Emily.

Devastata dal lutto, la donna passa da una fastosissima cerimonia (e un enorme ritratto del defunto marito) ad un tentativo drastico di rimettersi in gioco, che va dalla psicoterapia e arriva fino ai jeans, all’alcol e al ribaltamento della casa. Nel corso dei quattro episodi, comunque, Emily si rivela quella di sempre: è intransigente nei confronti di Rory e della sua vita girovaga, nei confronti della figlia ancora nubile, nei confronti di Luke, che non si decide a trasformare la propria tavola calda in una catena. Tuttavia non resta indifferente alla morte di Richard, che la condurrà, sbandate annesse, a un cambiamento profondo nel quale si svela la sua identità di madre, di moglie, e più di tutto, di donna con le palle. Lo sapevamo da sempre che Emily fosse tutto questo, ma lei ce lo conferma, lo conferma a sé stessa compiendo gesti totalmente inaspettati, uscendo finalmente dalla sua vita perfettamente inquadrata in un modo realistico e che ce la fa adorare ancora di più.

Luke

C’è poco da dire: da semplice fornitore di caffè per le ragazze a fidanzato di Lorelai, Luke si è sempre fatto adorare. Persino quando non ha sposato Lorelai lo abbiamo amato, perché era impegnato a essere un buon padre. Riservato e brontolone, ma anche buono e dotato di un’adorabile impacciataggine, lo ritroviamo con Lorelai in un rapporto ormai consolidato. Si è trasferito a casa Gilmore ed è ormai abituato alle particolari abitudini (alimentari, in particolar modo) delle due.

Anche Luke è maturato molto rispetto alle stagioni precedenti: se una volta i sentimenti lo spaventavano e li fuggiva, questa volta è lui per primo a battersi e a mantenere (salvare?) il rapporto con mamma Gilmore. La sua maturità sentimentale lo rende il ritratto del tipo di amore che tutti vorremmo, che si ostenta attraverso le piccole concessioni, tipo soffiare sulla bistecca del cane. E un discorso come quello che Luke fa a Lorelai pensando di doversi lasciare lo vorrebbe chiunque, suvvia.

Ma…

Tuttavia non si può soprassedere su due aspetti: il primo, molto semplicemente, è quello che ho voluto interpretare come un tentativo di emulare le serie TV demenziali e i loro inserti al limite dell’assurdo (Scrubs, How I Met Your Mother), che riesce malissimo e sottrae tempo e spazio a personaggi che sono stati centrali (Dean, Jess…) e che invece compaiono così per pochi secondi, inseriti forzatamente e sbrigativamente. 

Il secondo è il degenero delle protagoniste: ora, su questo punto potrei spendere milioni di parole, ma vedrò di limitarmi. Se già, come dicevo, il rapporto tra le due Gilmore è insano, in questo speciale peggiora ciò che sembrava impossibile peggiorare.

Rory

L’avevamo lasciata 24enne e all’incirca sempre uguale a come l’avevamo conosciuta nei primi episodi: timida, adorabile, ingenua, determinata e con il suo sogno di giornalista che sembrava finalmente decollare quando, sul finale di stagione, Rory partiva per seguire la campagna elettorale di Obama.

La ritroviamo, 32enne, letteralmente allo sbando. Il suo lavoro non esiste, e lei stessa non sa cosa vuole (il giornalismo sembra non soddisfarla più); di questi 8 anni passati fuori si dice solo che ha girato il mondo, ma da questo mondo Rory sembra non aver imparato proprio nulla. La vediamo rientrare nella sua cittadina con mille telefoni, vestita elegante e pronta a prendere mille aerei di fila, ci aspettiamo una giovane donna in carriera (d’altronde Rory era il genietto di ogni scuola e università), e invece troviamo una donna trentaduenne che scappa alla prima difficoltà, che non ha un lavoro e ciononostante si permette di atteggiarsi a viziata (le viene offerto un dottorato nella sua scuola superiore e lei ne parla come se le avessero proposto di lavorare da inserviente), che rifiuta opportunità valide senza sapere perché e che per giunta si divide tra una relazione di cui scorda l’esistenza e una… relazione aperta? Col famigerato Logan, che è fidanzato e prossimo al matrimonio.

Come se non bastasse, ad un certo punto si dà a una sveltina della quale racconta subito alla madre, che pur conoscendo la sua situazione sentimentale non fa una piega. Sorvolerò sul finale, che corona questo degrado e dimostra come una ragazza che, miracolosamente (con una madre che si comporta così direi più che miracolosamente), è cresciuta con dei valori e degli obbiettivi, non riesca a mantenerli vivi appena uscita di casa. Ma viva la mamma giovane e amica eh.

… molto bene.

Lorelai

E alla fine arriva lei. Lorelai, la donna che a 48 anni vuole avere un figlio. La donna che porta il compagno a informarsi sulle gravidanze surrogate e non sa nemmeno parlargli appena hanno una crisi, semplicemente prende e decide di darsi alle camminate in montagna (a “fare come in Wild“). Già, perché Lorelai è così, perfettamente capace di dare addosso all’altra persona non appena si sente trascurata, lamentandosi di un uomo perfetto come Luke, di genitori che bene o male non sono peggio di tanti altri (al punto di parlare male del proprio padre davanti a tutti al di lui funerale e sorprendersi della rabbia della madre…….), e persino della figlia quando finalmente sembra aver trovato la propria strada e vuole scrivere un libro sulla loro storia.

Tuttavia non è assolutamente in grado di sostenere una conversazione che non parli di caffé o non sia costituita al  70% da inutile sarcasmo, e al dialogo preferisce la fuga. Non soltanto con Luke e poi con sua figlia, ma persino con sua madre, con la quale si ritrova ad andare in terapia e passa le sedute in perfetto silenzio. Non fraintendetemi, lo vedo anche io che il suo personaggio è tutto puntato sul mettere in evidenza come Lorelai, da madre single e giovanissima, si sia comunque sempre messa in gioco e fatta il mazzo per la figlia, ma non ha nulla da insegnarle se non una cosa banale come “è importante avere un lavoro”. Cosa che, comunque, Rory non ha evidentemente imparato. Tanto i soldi non sono un problema, anche se siamo in crisi compriamo cibo spazzatura da asporto e quando siamo in rosso piagnucoliamo dai nonni, che improvvisamente diventano simpatici.

Ecco, in sintesi.

(Che poi se palesemente né Lorelai né Rory sanno cucinare, come è sopravvissuta Rory otto anni in giro per il mondo? Boh).

Distruggermi l’infanzia: missione compiuta

Mi viene da pensare che il grosso problema sia stato scegliere di riportare in auge (ma d’altra parte qui subentrano i problemi di sequel e remake che tanto vanno di moda oggigiorno) una serie TV che fece successo anni or sono su un pubblico che, all’epoca, era in piena adolescenza. Ad oggi, riproporgli una serie TV che non si è evoluta e anzi, è peggiorata quanto a contenuti, permette a coloro che all’epoca erano annebbiati dagli ormoni di notare le incoerenze e le assurdità presenti. Cosa tremenda, perché a me sarebbe piaciuto mantenere vivo nella mente il senso di conforto datomi dalla visione di questa serie TV. Che invece adesso sarò costretta a ricordarmi con tanto, tantissimo nervoso.

 

P.s. Ricordatevi di fare un salto sulla pagina Una mamma per amica!

Gaia Cultrone

1994, ma nessuno ci crede e ancora bersi una birra è complicato. Cinema, libri, videogiochi e soprattutto cartoni animati sono nella mia vita da prima che me ne possa rendere conto, sono stata fregata. Non ho ancora deciso se sembro più stupida di quello che sono, o più furba; pare però che il cinema mi renda, quantomeno, sveglia. Ah, non so fare battute simpatiche.
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