
Glass e Shyamalan che scricchiola: ottime intenzioni, mediocre risultato [No Spoiler]
Forse non si dovrebbero mai avere troppe aspettative per un film. O, almeno, non attaccarcisi sentimentalmente prima ancora di vederlo. Con Glass però è successo proprio questo. “La sfuggi, la temi, ma alla fine arriva” parafrasando Thanos. La cocente delusione per un prodotto che avrebbe potuto chiudere una trilogia splendida, con un’idea romantica di fumetto che si è ormai persa pure nei cinecomics. Perché Shyamalan, con Unbreakable, aveva regalato al mondo il suo amore per i tizi che si menano su carta, e con Split era riuscito a fregarci tutti. E poi è arrivato Glass, che sembra creato da uno che con il Cinema ci ha fatto solo un aperitivo al bar. Analcolico.
E allora andiamo subito a vedere cos’ha che non va Glass e, soprattutto, perché sarebbe potuto (e, cavolo, dovuto) essere un capolavoro. Senza spoilerz, promesso.
Il problema fondamentale di Glass sono proprio i tempi. Shyamalan non riesce a gestire il minutaggio del film, annacquando la prima parte peggio del giardiniere Willie con l’aranciata. Glass non parte mai. Sembra farlo, poi si ingolfa, tossisce, scatarra un po’ qua e là, trascinandosi stanco per una prima metà di film dove sostanzialmente si parla, e dove le cose che si dicono sono scritte con il pilota automatico. È come se tutti fossimo pronti per un botto che non arriva mai. E, badate bene, non volevamo assolutamente un cinecomic canonico. E guai a quelli che se lo aspettavano.
Però Shyamalan tenta di infilarsi anche in quella crepa, srotolandoci botte occasionali girate male, senza fluidità di macchina, con un montaggio sterile che ammazza il poco pathos che si poteva creare. Si avvicina, si allontana, inquadra le gambe, poi i volti, spezzettando l’azione in tanti frammenti non amalgamati. E questo non doveva essere un film d’azione. Servivano dialoghi, riflessioni, guizzi verbali. Discorsi sui fumetti come quelli in Unbreakable qui ce li sogniamo.
Glass fatica anche dopo il giro di boa, creando un binomio mediocre: se nella prima parte sembrava non partire mai, nella seconda sembra ammucchiare finali su finali, stemperando la tensione che in Split ci gocciolava sulla fronte fino a creare un solco terribilmente bello.
Persino la gestione dei protagonisti è scoordinata. Troppo spazio al Kevin di James McAvoy (che resta sempre un attore sublime): sappiamo che ha tutte queste personalità, ed è giusto giocare con lo spettatore, ma fino a un certo punto, non si può creare un pretesto ogni scena per tirare fuori gli abitanti della sua psiche. Il David Dunne di Bruce Willis è quasi ininfluente, monolitico (giustamente) ma privato della sua epicità. E poi Mr. Glass. Troppo tardi il suo ingresso, troppo facili le sue mosse, troppo alla buona i suoi snodi di trama all’interno dell’ospedale.
Shyamalan aveva in mano un potenziale enorme, un’idea fortissima di base e si perde in sciocchezze, volendo fare un po’ di action, un po’ di thriller psicologico, un po’ horror e finendo a fare un mix di niente. Sembra aver disimparato le regole del Cinema: semina cose in maniera platealmente banale (il buco in terra), rende didascalici quasi tutti i dialoghi, gira senza guizzi. Anche i colori (che nei fumetti sono spesso cruciali) verde, viola e giallo, non vengono sfruttati a dovere. Ogni tanto appaiono (in fumetteria, sui vestiti delle “spalle” dei protagonisti) ma si perdono in due ore e rotte di film, che non riescono comunque ad appagare. A volte less is more.
E tutte queste problematiche si conficcano nel finale. Quel colpo di scena tanto caro ai film di Shyamalan. Un colpo di scena metaforico, dolce, intimista e al tempo stesso gargantuesco che… non viene minimamente preparato. La rovesciata di CR7 contro la Juve che non entra in porta. Il regista indiano si dimentica dei suoi stessi film, ideando il finale perfetto senza prepararlo lungo tutta la pellicola. Pensate solo a Il sesto senso o Unbreakable, ragionate su quanto ogni elemento porti alla spiazzante rivelazione finale. Piccoli tocchi, semplici pennellate che, riviste a mente lucida, creano un patchwork perfetto per far funzionare il twist negli ultimi minuti del film. Glass non ha niente di tutto ciò. Non puoi tirarmi fuori una sottotrama così densa e importante, cardine per tutto il film (diamine, quasi per la trilogia) e buttandomela alla fine così, con quei patetici tatuaggi incessantemente inquadrati perché i minuti stavano finendo e bisognava far capire tutto a tutti.
Qui caracolla a terra Glass. Nel non costruire il film in funzione di quel finale: mai seminato, mai accennato, mai davvero presente. Un errore tecnico impensabile per uno come Shyamalan, che sui colpi di scena ci ha costruito una carriera. E proprio quando aveva il più sconvolgente di tutti, accoppiato allo scioglimento migliore possibile, non riesce a sfruttarlo e lo spreca così, senza quell’intimismo epico che aveva reso grande Unbreakable, che ha reso grandi tutti noi ogni volta che abbiamo sfogliato un fumetto, immaginandoci di indossare un mantello e salvare il mondo.