Film

Quando gli immigrati eravamo noi: Pane e cioccolata

“Come ti chiami?”

“Garofalo Giovanni. Innocente.”

“E italiano…”

Beh… Nessuno è perfetto, signor commissario.

Garofalo Giovanni, il nostro imperfetto protagonista, è Nino Manfredi in Pane e Cioccolata, capolavoro del 1973 per la regia di Franco Brusati. Garofalo Giovanni è in Svizzera per trovare un lavoro stabile e redditizio, guadagnare il suo gruzzolo da riportare in famiglia e finalmente “sistemarsi”. Garofalo Giovanni potrebbe tranquillamente essere il vostro kebabbaro post discoteca (quello che vi fa sognare cipolle e salsa piccante fino alle due del giorno dopo), il pakistano che vi mette da parte le arance migliori o il tipo che vi porta la pizza a domicilio alle undici di sera, a bordo di uno sgangheratissimo motorino. In poche parole, Garofalo Giovanni è un immigrato, termine che nel 2016 è inevitabilmente sinonimo di tante situazioni, problemi, facce, salotti televisivi e feisbucchiani (ormai davvero molto simili per la qualità dei contenuti).

sorridenti, immigrati e italiani :)
Sorridenti, immigrati e italiani 🙂

Sfociare nel qualunquismo, trattandosi di immigrazione, è un rischio possibile. Andiamo con ordine: parliamo del film.

Nino, dopo tre anni in Svizzera, è in lizza con un turco per un posto da cameriere in un ristorante di lusso, dove le arance sono elegantemente sbucciate con coltello e forchetta in un modo fisicamente impossibile. Nino non otterrà il posto perché colto in flagrante a compiere un grave crimine, di cui voi maschietti sarete probabilmente tutti colpevoli, se non per strada nelle piazzole di sosta: la pisciata pubblica. Certo, lo trovo anch’io di dubbio gusto e un tantinello disgustoso, ma di certo non spedirei nessuno in gattabuia per questo. Ad ogni modo, la natura chiama, la Svizzera risponde, Nino si ritrova ad essere nuovamente clandestino e senza lavoro.

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Nino non si arrende e affida tutti i suoi averi e le sue speranze di un nuovo lavoro ad un connazionale losco e miliardario (il mitologico Johnny Dorelli), forse unico vero antagonista del film (guarda caso proprio un italiano!), che ormai giunto alla bancarotta si suicida, aggravando ancora di più la situazione di Giovanni.

"Papà, noi vorremmo andare direttamente al collegio con Jim che è venuto a prenderci. Ti dispiace?"
“Papà, noi vorremmo andare direttamente al collegio con Jim che è venuto a prenderci. Ti dispiace?”
"Non me ne frega un cazzo"
“Non me ne frega un cazzo” “Grazie papà!”

Nino tocca il fondo ma comincia a scavare, stabilendosi in un pollaio insieme ad alcuni clandestini italiani come lui. Questa scena, che ora allegherò perché DOVETE vederla, è a mio modesto parere uno dei punti più alti del cinema italiano. Davvero, è assurda. Ha una forza comunicativa, teatrale, iconica, comica e grottesca di una bellezza unica. E’ la scena clou del film, la sua essenza, il suo manifesto. Un gigantesco quadro realista alla Courbet, un quadro ghignante e spaventoso, con uomini-polli alleggeriti nella loro mostruosità da un copione che fa morir dal ridere. Vi ho convinti? Me la guardate? Bravi bimbi, grazie.

Dalle stelle (del ristorante) alle stalle (quelle vere, del pollaio), per il nostro eroe tutto sembra ormai perduto. E invece no: con l’aiuto di un’amica greca, bella e dissidente (una dolcissima Anna Karina), Nino riuscirà a capire e a capirsi.

Pane e cioccolata è un film completo, poetico, raffinato, profondo, leggero ma non banale. Ve lo consiglio perché alla parola “fine” vi sentirete diversi, malinconici e ispiratissimi. Questo film è tra le prime posizioni della mia playlist mentale di film a cui volere bene, quindi perché quattro stelline e non cinque?

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Perché è troppo crudele. Noi italiani ce l’abbiamo sto viziaccio: il senso d’inferiorità. Non so perché, anch’io quando vado all’estero e parlo dell’Italia e degli italiani a gente straniera, inizio con “Ahhhhh l’Italia, che orgoglio, che beltà! Vieni amico straniero, vieni a trovarmi” e finisco con “eh lo so amico straniero, hai ragione, e ti dirò di più, il problema dell’Italia sono gli italiani, è tutto un magna magna, è popo na mmerda!” (“popo na mmerda” in inglese suona benissimo). Insomma, l’emigrato italiano non ha praticamente pregi, i suoi difetti sono esasperati al limite del verosimile: siamo dipinti come popolo macchietta, odioso, inutilmente simpatico e passionale. E, nonostante mi trovi abbastanza d’accordo con quest’analisi, mi sarebbe piaciuto un contrasto più bilanciato (l’unico italiano che si salva è Nino): perché, parafrasando Gaber, a parte il disfattismo, noi siamo quel che siamo e abbiamo anche un passato che non dimentichiamo… forse noi italiani per gli altri siamo solo spaghetti e mandolini, allora qui m’incazzo son fiero e me ne vanto, gli sbatto sulla faccia cos’è il Rinascimento!

Lucia Tiberini

Classe 1992. Dopo un'infanzia nella provincia di Perugia, dove trovo notti stellate e sagre del cinghiale, mi trasferisco a Bologna, dove trovo esami, vino e bonghi. Amo il mio ukulele (ma solo esteticamente: non so suonarlo), Dylan dog, gli arrosticini e non disdegno il cinema.
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