Film

Gli Insospettabili: giallo, teatro ed eleganza prima del rifacimento millennial

Che meraviglia il flusso di coscienza, quella concatenazione di idee che ti fa saltare da un decennio all’altro senza che neppure te ne accorga. Quando poi è abbinata a un motore di ricerca e a una connessione internet decente, beh, i risultati sono a dir poco sorprendenti. Del tipo, ma voi lo sapevate che quell’apoteosi di estetica e autoreferenzialità di Sleuth, annata 2007, ha un illustre antenato omonimo dal lontano 1972, noto in Italia come Gli Insospettabili? Sì, se siete miei fedeli seguaci e avete letto del rifacimento di Kenneth Branagh qualche giorno fa; altrimenti non temete, siete perdonati: andate a recuperarvelo, e soprattutto una volta gustata la versione millennial regalatevi pure la chicca d’antan.

La trama de Gli Insospettabili è esattamente la stessa di Sleuth; solo che alla regia troviamo Joseph L. Mankiewicz, alla sceneggiatura non più Harold Pinter ma Anthony Shaffer, pure prestato dal mondo del teatro, e in scena sempre Michael Caine, ma nei panni del giovane parrucchiere arrogante e arrivista; a fare la parte dello scrittore attempato e raffinato, nientemeno che Laurence Olivier. La storia già la sapete: il famoso giallista invita nella sua lussuosa villa l’amante della moglie, dichiara il suo disinteresse per la consorte viziata e anzi gli propone di rubare dei gioielli da quella casa in modo da truffare l’assicurazione e vivere tutti felici e contenti, il biondo sciampista accetta, la situazione degenera.

Commedia in tre tempi già all’epoca, Gli Insospettabili è allo stesso tempo identico e diversissimo dal suo nipotino: se struttura e racconto sono praticamente immutati, c’è tutto un microcosmo di dettagli che paradossalmente li rendono distanti anni luce. A cominciare da quello che salta subito all’occhio a partire dalla prima inquadratura, che dico, a partire dalla sigla: se nel rifacimento del 2007 l’ambientazione era minimalista, elegantissima e iper tecnologica, la magione della prima versione è un trionfo di architetture gotiche condite da arredamenti barocchi. Ridondante, eccessiva, inquietante, meravigliosa: da sola, la scenografia è capace di suscitare tensione nello spettatore, anche quando i due magistrali protagonisti stanno in silenzio.

Protagonisti che segnano l’altra macroscopica differenza tra i due film: in Sleuth Michael Caine e Jude Law gareggiano, si divertono, giocano a chi riesce ad essere più artefatto e più sopra le righe; ne Gli Insospettabili, Michael Caine e Laurence Olivier sono dei campioni, sì, ma di morigeratezza. Nonostante la durata del film, non c’è una scena in cui i toni non siano fuori posto; dall’inizio alla fine, Gli Insospettabili sembra un compendio di eleganza novecentesca andata ormai perduta. Se in Sleuth la moglie viene diffamata senza usare mezzi termini, ne Gli Insospettabili lo scrittore ammette furbescamente di trovare l’omicidio più conveniente rispetto al dover pagare gli alimenti: una delle tante perle di ironia e understatement di cui è costellato tutto il film.

Infine, il terzo atto: che se nella versione Anni Duemila rischia di scadere nel morboso e addirittura nel nonsense, qui resta un giallo perfetto, serrato dall’inizio alla fine. Un incastro di indizi, logica, indovinelli e crudeltà che vi delizieranno; il modo migliore per far scivolare il teatro sullo schermo.

Se Sleuth era un balsamo per la vista, Gli Insospettabili è un elisir per la mente; e non ce ne voglia Pinter, ma la ricercatezza dei dialoghi di Sahffer è impareggiabile.

Ora non vi resta che organizzare una maratona, e scegliete voi l’ordine che più vi aggrada, se quello cronologico o quello sentimentale. E allora, per voi il primo posto chi se lo aggiudica?

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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