
Gli orrori del castello di Norimberga: il soprannaturale tra gotico e moderno
Oggi mi sono svegliato a un orario indecente con una fortissima voglia di Mario Bava. Un po’ deluso dalle mie deboli carni corrotte dai soporiferi aliti delle ore a cavallo tra mattino e pomeriggio, mi faccio scivolare verso l’unico vero trono del cinefilo sfaticato: il divano. Ora, acquietato e riacquistata una vaga fiducia nelle mie capacità intellettive, utilizzo i tasti di questo strumento lungo e nero quale è il telecomando per comandare il mio tubo catodico alla riproduzione de Gli orrori del castello di Norimberga.
Titolo interessante, come al solito, nella tradizione italiana; ma la cosa ancor più emozionante è che anche quando il film è italiano riusciamo a inventarci sopra delle mirabolanti arguzie linguistiche; e assolutamente mai filologiche. Che poi io non voglio criticare nulla di questo titolo: è fighissimo, al sol leggerlo ti pervade di un senso di lirica pura e limpida. Però, voglio dire, il film è ambientato a Vienna.

Ma perché, vi starete chiedendo, scegliere proprio questo film di Bava per la mia trattazione. Innanzitutto perché mi piace assai, e in secondo luogo perché, appunto per il precedente motivo, voglio donare fama e prestigio a un titolo di Bava che a mio avviso è stato ingiustamente poco considerato e sottovalutato. Posso fare questo perché sono un membro ereditario della casta, nonché padrone indiscusso delle vostre vite e del vostro sentimento di giudizio. Paura, eh?!
Che poi facciamo una considerazione oggettiva: non esistono film brutti di Mario Bava. A parte Le spie vengono dal semifreddo, quello fa veramente cagare. Scusa Franco e scusa Ciccio, avrete sempre un posto nel mio cuore.

Considerazioni di genere
Mi sono accorto che in 200 parole non ho ancora detto un cazzo del film, quindi forse è meglio dare una svolta. Partiamo dal genere, che ritengo un qualcosa di essenziale da individuare in un regista (di genere appunto) come Bava. Un anno prima di questo film usciva Reazione a catena, illuminante pellicola che ha rinnovato dall’interno la struttura dell’horror facendosi precursore del filone slasher (sì Carpenter, sei stato battuto, biatch). Sappiamo tutti che Venerdì 13 ha scopiazzato a manetta dal film di Bava. Ma la DEA vi ha beccati, stupidi americani. Sto un po’ esagerando; e pensare che neanche sono patriottico.
Bene, ne Gli orrori del castello di Norimberga Bava, cosciente del capolavoro che aveva precedentemente creato, ripropone un’architettura narrativa archetipicamente slasher, ma contaminandola con svolgimenti e soluzioni tipicamente provenienti dal thriller/giallo, con ambienti modernamente gotici e piazzando il soprannaturale come giustificazione agli avvenimenti. Più manifesto di poetica di così poteva solo aggiungere una didascalia dove diceva: “aho regà, guardate che mo’ riprendo lo slasher e lo arricchisco inserendoci tutti gli altri generi che ho già inventato prima, così, per delizziavve”. Non so perché lo sto facendo parlare in romanesco. Forse avrei dovuto farlo cantare.

Luce e ombra
Se siete un minimo appassionati di Mario Bava sapete molto bene quanto il nostro compaesano sia stato un genio della fotografia e dei giochi di luce. Quando Bava, oltre che regista, è anche direttore della fotografia il sugo aumenta. Ma per quanto sempre i suoi film utilizzassero la luce e le ombre in modo lucido, intelligente e funzionale, io credo che ne Gli orrori del castello di Norimberga si tocchi il sublime da questo punto di vista. Un esempio lampante sono le numerose scene girate quasi completamente al buio, dove quei pochi squarci di luce percepibile servono a delineare i contorni delle figure – coinvolte molto spesso in lotte – e ad accrescere la dimensione orrorifica.
Inoltre il Bavone nazionale, lo sappiamo bene, ha sempre dovuto lottare contro e con budget ridotti (anche se nell’ultima fase della sua carriera, la quale comprende anche Gli orrori del castello di Norimberga, le limitazioni si sono fatte meno stringenti) e quindi in questo esempio specifico le scene al buio sono quasi necessarie per evitare di dover intervenire troppo massicciamente con effetti speciali e trucco sul volto completamente sfigurato del barone.
Quando poi, invece, la luce rende la sua presenza evidente, essa diventa necessaria per far respirare la trama e per distendere la tensione per poi reinfittirla successivamente.

Mancanza di riflessione
Perché sì, ci sono anche le note dolenti.
Ciò che indebolisce – e non di poco – la potenza visionaria della pellicola e che quindi credo essere il motivo principale per cui questo film è così poco considerato, è la mancanza di tematiche rilevanti (complice anche una sceneggiatura non esattamente eccellente). Che per carità, l’horror, come insieme generico, non ha sempre e stringentemente bisogno di riflettere su tematiche serie o rilevanti. Spesso nasce come sfoggio estetico o come esigenza di intrattenimento, e non c’è niente di male in questo. Ma da Mario Bava ti aspetti qualcosa di più.
Non è neanche vero dire che Gli orrori del castello di Norimberga non riflette, ma lo fa su temi effimeri o comunque non troppo “visionari” in questo senso, quali la spontanea attrazione dell’uomo verso il soprannaturale, la fascinazione per il rischio e l’ammirazione per l’occulto e lo sconosciuto. Forse il tema più “intelligente” su cui il film riflette è quello relativo ai meccanismi della vendetta, che nella pellicola si risolve come un circolo vizioso eterno e senza via di scampo né di redenzione.
Insomma, nulla a che vedere con il suo predecessore, ancora Reazione a catena, che invece era una critica senza via risolutiva – e anzi spietatamente cinica – alla società consumistica e capitalistica contemporanea.

In ogni caso, seppur indebolito, non penso che il film ne esca sfigurato. Perché in fondo nessuno vieta a un regista di “esercitarsi” con una pellicola in mere trovate estetiche o in faccende di stile. E sicuramente non sono io la persona che può giudicarlo per questo. Il sacrificio del film impegnato a riflettere su tematiche attuali e costitutive per la nostra realtà smette di chiamarsi sacrificio e viene a chiamarsi stilizzazione. E da questo punto di vista, Mario Bava, con Gli orrori del castello di Norimberga, non poteva essere più efficace.