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Gli spettatori moderni riescono ancora a spaventarsi con i film horror?

Cresciuto a pane e film horror, nutrito da Fulci, Bava e Argento, ultimamente non posso far altro che essere contento del quantitativo di film di genere validi che vengono portati nelle sale italiane, seppur con ritardi.

Certo è che, rispetto agli altri generi, l’horror ha sicuramente una cerchia di estimatori più ristretta e, soprattutto, meno trame su cui vertere. Ma, nonostante ciò, questo è, da sempre, uno dei generi più affascinanti, in quanto offre una libertà al regista tale da potergli permettere di rappresentare idee nel modo meno vincolante possibile… Romero insegna.

Questa passione per il sopracitato genere, oltre che provocarmi ripetute accuse di psicopatia a causa delle mie visioni di “roba strana” continue ed effettuate a orari improbabili, mi spinge, anche, a vederne molti al cinema. E proprio la sala è diventata, negli ultimi anni, luogo d’interfaccia e confronto con altre persone. Più volte mi è successo di vedere gente esclamare cose tipo che stronzata! dopo un film che mi aveva terrorizzato, e altrettante volte mi è capitato di rimanere immobile come Ben Affleck davanti alla cinepresa mentre le persone sedute sulla poltroncina accanto alla mia erano colte da raptus di follia a causa dell’incontenibile paura causata dall’ennesimo jumpscare a cazzo di cane.

Ciò mi ha portato a chiedermi: ma cosa farà paura realmente a tutti noi spettatori del XXI secolo?

Inizio subito prendendo in esame la mia sacra trinità di film horror usciti dagli anni 2000 in poi, partendo da quelli e dal tipo di paura che suscitano nello spettatore: The VVitch, Babadook e The Conjuring, rispettivamente di Robert Eggers, Jennifer Kent, e James Wan.

Il primo è una delle opere migliori che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni, trascende dal semplice discorso di “genere” ed esula verso un campo più ampio: in italiano, il film è ottimo anche al di fuori del contesto di film horror, ma per molti non fa paura, il che potrebbe avere un fondo di verità. The VVitch è una favola dark alla Del Toro (generalizzando molto… ma tanto), con toni marcatamente più scuri, che punta sull’atmosfera e su quella paura romantica indotta dalla natura inospitale, ed è supportato da una bravura registica elevata, che riesce a rendere iconiche scene che potrebbero non esserlo state se girate da altri. Risultato: non fa paura, non terrorizza con continui salti sulla poltroncina e con il solito mostro assassino, ma inquieta. Inquieta tutti? No. Perché? Non può essere guardato superficialmente (vanno, per godere appieno della pellicola, colti i riferimenti storici), e non è adatto a chi cerca lo spavento facile. 

Babadook, invece, è, come qualcuno ha già ricordato, un horror che non ci siamo meritati ed è funzionale al mio discorso: l’horror sta diventando qualcosa per ragazzini che vanno al cinema per impressionare le fidanzatine? Babadook è stato criticatissimo, senza alcuna ragion di causa: la metafora del mostro/depressione è così raffinata, ma, allo stesso tempo, così palese che è assurdo che non ci si faccia caso, magari perché preso dalla brama di additare l’ennesimo film come “pessimo” o “non spaventoso” (Poi, però, Saw: Legacy è un capolavoro, inspiegabilmente), o magari per la non presenza di scene gore o scene in cui il volume della musica diventa così alto da sentirsi pure nella sala affianco. Mentre il film di Eggers era un horror d’atmosfera, questo è un horror psicologico, che letteralmente gioca con la psiche della protagonista per arrivare a un finale che a pressoché nessuno è piaciuto e che, invece, ha quasi commosso me, cosa assurda per un film del genere.

The Conjuring è il più canonico dei tre e, quindi, quello che funziona di più per il grande pubblico: Wan gioca con i cliché del genere, utilizza citazioni, costruisce un film con un’ottima impalcatura che, dunque, spaventa sia i casual watchers, sia quelli che masticano un po’ di cinema. Il saltello arriva, basti pensare alla fottuta scena dell’armadio, ma il film è capace di inquietare anche per la realizzazione complessiva delle scene, ed è così anche per il secondo capitolo, il caso Enfieldseppur in misura ridotta. Casa infestata, possessione, bambini, Vera Farmiga = vittoria.

Tre pellicole, ognuna “spaventa” in modo diverso.

Ma quali altre strade può prendere un film horror per spaventare lo spettatore?

  • La Narrazione: The Devil’s Candy, Lasciami entrare, Sinister, Oculus, Goodnight Mommy, It Follows Kairo/Pulse (J-Horror del 2001 che contiene la descrizione della depressione più accurata che abbia mai visto) sono solo esempi di film horror che puntano su una sceneggiatura solida, spesso supportati da un comparto tecnico di livello. Fondamentalmente, alcuni di quelli che fanno parte di questa mia immaginaria sottocategoria possono non spaventare affatto – recente è il caso di It di Muschietti, ottimo film sia tecnicamente che a livello di sceneggiatura, ma che non appartiene a un vero e proprio genere ed è mutilo di alcune parti del libro da cui è tratto che avrebbero contribuito a renderlo scioccante al punto giusto (si pensi al momento cartaceo in cui [SPOILER] Beverly che si concede a tutti i ragazzi del gruppo) – ma sono quelli più aperti all’autorialità, il che è sempre un bene.
  • Lo Splatter/Torture movie: sì, c’è qualcuno che si spaventa con questa roba, e indovinate chi? Sono, dunque, riuscito ad apprendere che, dall’inizio del XXI secolo in poi, questa categoria è occupata dai francesi e dagli orientali: Martyrs, Frontiers, A l’interieur, per la Francia, ad esempio, Three Extremes (con la tripletta Park Chan Wook, Takashi Miike, Fruit Chan), Ichi The Killer, per il mercato asiatico. Non vanno tuttavia dimenticati prodotti occidentali come le pellicole di Rob Zombie, o quel The Descent che diventò famoso per la storia dei due finali. Questi film puntano a disgustare e sono gli unici che, probabilmente, potrebbero riuscire a sortire un effetto generale negli spettatori, ovvero il vomito, che in questo caso è positivo. Ma, mentre i film splatter puntano sullo scioccare mostrando la violenza, i torture movie tendono a focalizzarsi sulla sofferenza, il che rende il tutto raccapricciante.
  • Il Found Footage: Ormai da considerarsi una categoria a parte. Nel passato vide uno dei maggiori cult in Cannibal Holocaust di Deodato ma, oggi, anche comprendendo molte stronzate ignobili,  il mockumentary annovera tra le sue fila perle come R.E.C. e il più recente Lake Mungo, oppure il famosissimo Blair Witch Project. Qui si punta sul fattore realismo, e la crescente produzione di questi film dimostra il fatto che agli spettatori piaccia e che riesca (se fatto bene) a spaventare.
Da Three Extremes

All’interno di queste macrocategorie si riconoscono, ovviamente, vari sottogeneri (non ho citato, ad esempio, un horror politico e comico come Drag Me To Hell di Raimi), ma la volontà del genere sarebbe sempre la stessa: terrorizzare.

Quanto può essere difficile, rispetto al passato, smuovere con un sentimento come la paura, un pubblico che ormai ha già visto tutto quel che si poteva vedere trasposto su schermo?

Se, già nel cinema “normale”, il cambiamento da un film all’altro sta nell’interpretazione di trame che, inevitabilmente, prendono le basi da stesse e perpetue idee, allora nell’horror il numero di storie possibili viene a ridursi drasticamente. 

Proprio per questo, come visto negli ultimi anni, i film horror che spaventano e lasciano un’impronta nello spettatore sono proprio quelli che veicolano un messaggio, una sensazione e non sono fini a loro stessi e non si servono di mezzucci pur di far saltellare lo spettatore sulla poltroncina. The VVitch, A Tale of Two Sisters, Berberian Sound Studio, e potrei citarne tanti altri, fanno esattamente questo: retorica, oltre che avere un “vestito” ben rifinito e studiato. 

Sembra, quindi, che sia l’horror intelligente a conquistare un pubblico selezionato su base diastratica, seppur non manchino casi di persone che non hanno voglia di “accendere il cervello” davanti ad un film di questo genere. Vorrei ricordare, se permettete, che state guardando L’esorcista, e non Vacanze di Natale

Vincenzo Di Maio

Nasce in quel di Napoli nel 1998 ma è rimasto ancora negli anni '80. Spesso pensa di esser stato un incidente ma i suoi genitori lo rassicurano: è stato molto peggio. Passa la totalità della sua giornata a guardare film e scrivere, ma ha anche altri interessi che ora non riesce a ricordare. Non lo invitate mai al cinema se non avete voglia di ascoltare un inevitabile sproloquio successivo, qualunque sia il film.
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