
Gli ultimi saranno ultimi: Gassman e Cortellesi in bilico tra commedia e rabbia
Piccola precisazione: se non siete ricchi, o quantomeno benestanti, se non avete un lavoro stabile, ma dei sogni, dei progetti, dei desideri sì, e non cose apparentemente irrealizzabili, beh, non guardate Gli ultimi saranno ultimi. Oddio, a ben vedere il lieto fine c’è, ma solo dopo travagli che non augurereste neanche al vostro peggior nemico. Però è un ottimo film, quindi se invece avete avuto una bella giornata, avete appena firmato un contratto a tempo indeterminato, e potete ragionevolmente aspettarvi un avvenire tutto sommato sereno, eccovi serviti.
Gli ultimi saranno ultimi racconta la storia di una coppia come tante in un paesino del Sud Italia come tanti: Stefano, un Alessandro Gassman che ormai ha poco da invidiare al padre, non accetta di lavorare “sotto padrone” e tira a campare tra affari improbabili, scommesse a perdere e favori degli amici; Paola Cortellesi, al tempo stesso agguerrita e delicata, è la moglie Luciana, adorata dai compaesani, e mantiene entrambi lavorando in una fabbrica di parrucche. Il lavoro c’è, ma è precario, mal pagato, e per usare un eufemismo non particolarmente stimolante: uno di quegli shitty jobs ormai sempre più diffusi. Ma Luciana è una ragazza semplice: basta avere di che vivere, e la vita è già perfetta, al punto di decidere di mettere su famiglia. Però si sa, un bambino non è ben visto dagli imprenditori, e neppure dai sindacati; ecco allora il licenziamento, pardon, il mancato rinnovo.
Nel frattempo al paese arriva Antonio (Fabrizio Bentivoglio), poliziotto veneto cacciato con disonore dalla sua sede, ché non sparare al primo colpo può essere fatale; i colleghi lo irridono, gli autoctoni lo ignorano, ma non Manuela, solare parrucchiera sudamericana. Ma la loro amicizia suscita risatine e commenti maligni, chissà perché.
A prima vista il film girato da Massimiliano Bruno nel 2015 potrebbe sembrare l’ennesimo mattone italiano tanto impegnato quanto indigeribile; ma per fortuna ci si ricrede dopo poche scene. Già, perché Gli ultimi saranno ultimi mescola dramma e commedia, tanta commedia, come solo certe chicche del neorealismo hanno saputo fare. Una menzione d’onore in questo senso va a Stefano Fresi, splendido nei panni della guardia giurata cicciona, ligia al dovere ma piena di umanità, e alla Cortellesi, che quasi senza che ce ne accorgiamo ci porta agli inferi per poi risalire in un lampo.
Grandiosi gli spaccati di vita dei protagonisti, che possono sembrare razzisti – “non voglio il prete di colore al battesimo, ma solo per le foto” –, ma che sono in realtà molto più inclusivi di certi personaggi dei salotti bene, che sul disagio sociale invece ci campano.
Gassman è perfetto e irritante in modo sublime nel giocare all’eterno adolescente, Bentivoglio adorabile nei panni del poliziotto un po’ troppo introverso, e in generale tutto il coro di personaggi che popola Gli ultimi saranno ultimi entra negli occhi dello spettatore; un affresco ironico e dolente della crisi a quasi un decennio di distanza.
Per certi versi potrebbe ricordare Tutta la vita davanti; solo, se possibile, ancora più tragico. Perché qui i protagonisti non sono giovani laureati che devono accontentarsi di un lavoretto per sopravvivere, ma persone quasi di mezza età che quel lavoretto lo agognano, invano, finendo per trasformarsi in belve al grido di mors tua, vita mea. E allora sotto il sole laziale e nell’apparente gioia di una festa di paese, la rabbia è pronta a divampare. Perché non importa cosa recitino le letture della messa ogni giorno attraverso le tubature e i lavandini del paese – un esilarante colpo di genio tutto nostrano; finché non si ribelleranno con la schiuma alla bocca, gli ultimi saranno ultimi.