Come quasi tutte i miei coetanei, quando uscì Anastasia, nel 1997, rimasi preda di una frenetica curiosità per la sorte della figlia dello zar di Russia, Nicola II.
A differenza della maggior parte degli altri piccoli fan dei Romanov, che, passato il primo momento di entusiasmo, tornarono a dedicarsi al calcio e ai Coccolotti, da brava bambina anormale continuai a coltivare un interesse smodato per la famiglia reale russa, interesse che perdura anche oggi.
Potete capire quindi la mia fregola quando per puro caso scoprii che Netflix avrebbe trasmesso una docu-fiction di sei puntate sui Romanov, intitolata appunto Gli ultimi zar, di cui dovrete sorbirvi la recensione.
La domanda che sorge spontanea e che spesso mi viene posta è: «Ilaria, ma tu una vita no, eh?»
La serie ripercorre la storia del regno di Nicola II/Robert Jack, a partire dalla sua ascesa al trono fino allo sterminio della famiglia imperiale da parte dei bolscevichi di Lenin.
Oltre alle complicate dinamiche politiche, la docu-fiction analizza, tramite l’inserzione di interventi di esperti, anche le questioni personali dell’ultimo zar, il rapporto intenso con la moglie, Alessandra/Susanna Herbert, l’emofilia del figlio Alessio e, soprattutto, il ruolo del controverso monaco Rasputin/Ben Cartwright all’interno delle vicende familiari e governative.
Ve lo dico subito: Gli ultimi zar, diretta da Gareth Tuley, non mi ha colpito né accresciuto la mia conoscenza quanto mi sarei aspettata.
Forse è proprio l’impostazione di serie/ documentario che non funziona: gli interventi degli esperti – alcuni sedicenti tali, in quanto le inesattezze storiche o le stronz… ops, gli errori fioccano come la grandine (uno su tutti: l’allusione continua ad una relazione fisica tra Alessandra e Rasputin, gossip ampiamente smentito da almeno mezzo secolo) – rallentano il ritmo e sono inseriti nei momenti di maggior pathos, come a voler togliere il piacere dell’intrattenimento.
Ci sta partire, copiando il film Anastasia con Ingrid Bergman (1956), dal ritrovamento della ragazza che si spaccia per la granduchessa*: le visite al suo capezzale dell’ex istitutore dei piccoli Romanov, Pierre Gillard/ Oliver Dimsdale, sono il calcio di incoraggiamento per lo svolgimento narrativo.
Quest’espediente si rivela però inutile, perché la faccenda viene lasciata cadere senza troppi complimenti, tante sono le cose che vengono buttate nel calderone, tra storia, pettegolezzi e scene di sesso infilate qua e là, anche quando avremmo preferito rimanere nel dubbio.
*SPOILER ALERT, NON LEGGETE SE NON VOLETE RIMANERCI MALE: Anastasia è morta insieme ai suoi, altro che viaggio a Parigi per conoscere la nonnina – la quale non era manco una persona così amabile.La vera Anastasia, 1914 circa.
Eppure non ci voleva un granché per fare de Gli ultimi zar una serie degna di competere, a parità di argomenti, con The Crown, per esempio: Susanna Herbert, nei panni della zarina è talmente brava da non aver nulla da invidiare a Claire Foy, alias Elisabetta II.
Il punto di forza dell’interpretazione della Herbert è la rassomiglianza con la vera Alessandra: madre tormentata e moglie devota, autoritaria ai limiti della tirannia, consapevole del suo altissimo rango ma in balìa di un monaco ambiguo. Uno dei personaggi più tragici del Novecento.
Non si può dire lo stesso del marito televisivo, Robert Jack: il suo Nicola – che ostinatamente viene chiamato Nickley e non Nicky, vero nomignolo dello zar (qui parte il mio ditino accusatore, come dicono gli amici) – è un po’ mummificato, per usare un eufemismo.
Non che Nicola II fosse noto per il suo dinamismo – la perdita di un impero basta a dimostrarlo – ma è stato un personaggio ricco di sfaccettature, di luci e tenebre, capaci di grandi passioni e di grandi attacchi di collera. Testardo fino all’ottusità, incapace di affrontare un mondo che cambia in fretta, eppure, a detta di tutti i contemporanei, estremamente attento alla sensibilità degli altri, gentile.
Qui non è altro che un bambino piagnucoloso alla mercé di moglie, ministri e Rasputin. Una resa fin troppo semplicistica che non aiuta lo spettatore ad averne una visione imparziale e corretta.
E Rasputin? Beh, sul monaco pazzo sono stati versati fiumi d’inchiostro e devo ammettere che Ben Cartwright è l’altro pilastro de Gli ultimi zar. Sempre con le braghe calate, viscido, ma conserva quel fascino magnetico che il vero Rasputin doveva esercitare sugli astanti. Da dieci.
Peccato che molti personaggi non vengano approfonditi, ad esempio la personalità delle ragazze, condannate alle tenebre rispetto all’emofiliaco zarevic, o anche le più importanti figure politiche dell’epoca, appena accennate e subito sommerse dalle parole (troppe) degli “esperti”.
Perfino la tragica fine dei reali viene rappresentato in maniera frettolosa: quasi assente la figura di Lenin, così come quella di Giorgio V d’Inghilterra che tanta parte ebbe nell’epilogo di trecento anni di Romanov.
Pur non avendomi pienamente convinto, consiglio lo stesso la visione de Gli ultimi zar, specie a chi non è spaccapalle come me: aiuta sicuramente a farsi un quadro della situazione russa ed europea fino al 1914.
Una sceneggiatura buona – Madama Storia ne è l’autrice – non sfruttata a dovere ma comunque utile a comprendere perché il XX sarà etichettato come il secolo dei totalitarismi.