
Goal! Il Film. Ovvero essere quattordicenni al campetto
Goal: ma quanto è stato bello farsi abbindolare da questo mega-spot sul calcio quando non esisteva altro se non il calcio al campetto?
Effetto nostalgia: mode on
Cominciamo col dire che se il titolista si è sentito in dovere di sottolineare la parola “film” addirittura nel sottotitolo già qualcosa non quadra. Ma non saltiamo alle conclusioni e facciamo un passo indietro, perché se di questo film non avete mai nemmeno sentito parlare siete giustificatissimi. Catapultiamoci nel favoloso 2005/06 calcistico: Arturo Di Napoli conduceva il Messina a una storica salvezza, di lì a pochi mesi ci sarebbero stati i Mondiali in Germania (“POO PO PO PO PO POO POOO!”, “Andiamo a Berlino Beppe!”, e via dicendo) e sempre di lì a pochi mesi sarebbe scoppiato lo scandalo Calciopoli. Da un’altra parte del mondo però, più precisamente in Messico, era stato prodotto un film a dir la verità mediocre, ma supportato da un battage pubblicitario ossessivo, realizzato non solo tramite spot radiofonico-televisivi (YouTube ai tempi era ancora free-zone, mannaggia a loro), ma veri e propri servizi in programmi sportivi come “Quelli che il Calcio” e “Studio Sport” (ancora ricordo la Monicona Vanali che lo presenta agli spettatori).
Ma in sostanza cos’è Goal! Il film?
Risposta: un patinato, banalissimo, mediocrissimo mega-spot di quasi due ore sul fascino del calcio e sul suo potere catartico, infarcito con la solita parabola del terzomondista puro di cuore che arriva al successo.
Santiago Muñez (Kuno Becker, che ha lo stesso cognome del centrocampista della New Team di Oliver Hutton) è un giovano emigrato messicano che gioca a calcio nei bassifondi di Los Angeles, qui viene notato da un ex stella del calcio inglese (che guaaarda caaso passava proprio da quelle parti) che decide di mandarlo a provare in Premier League al Newcastle United, squadra oggi mediocre, ma che ai tempi faceva sognare tutti i nostalgici grazie a campioni del calibro di Alan Shearer.
Dopo vari problemi e travagli come padri stronzi, compagni di squadra macellai, bugie stupide, e un sacco di altre menate di cui non ci frega niente, Santiago riesce finalmente a giocare, a dimostrare il suo immenso talento e diventare professionista.
Ora, c’è da dire che le sequenze di calcio giocato non sono affatto male, soprattutto per un’ottica americana. Si sa che gli Americani e il calcio vanno d’accordo quanto i Congolesi e lo Slalom Gigante di Sci. Quanto però avviene fuori dal campo è ovviamente un pianto lagnoso e prevedibilissimo, ma a noi non importa, e sapete perché?
Perché avevamo quattordici anni, e in questo film c’erano i calciatori veri
Proprio così: Goal! Il Film si avvale di un numero di cameo difficilmente calcolabile (non è vero, basta guardare sulla pagina Wikipedia) tutti di calciatori di primo – se non primissimo – piano. Roba che a marmocchi brufolosi come eravamo noi ci faceva uscire di testa, perché a quei tempi (oddio, comincio a dire “a quei tempi”, datemi una botta sulla nuca e fatemi stramazzare al suolo), quando non esistevano i social e tutta questa robaccia che affligge le vostre giornate (compresi gli articoli del MacGuffin) vedere un calciatore al di fuori di un campo di calcio, un programma sportivo o uno spot (tipo questo, madonna che nostalgia ragazzi) era roba mica da tutti i giorni. Figuriamoci in un film! Capiteci (tanto per usare il plurale maiestatis in modo paraculo) vedere Beckham, Gerrard, Raul e Zidane era un po’ come vedere la Madonna (vi lascio immaginare le performance recitative, perlopiù doppiati), anzi, di più, perché almeno io non ho mai litigato mezz’ora con un amico per poter impersonare la Madonna nell’imminente partita al campetto.
In sostanza…
Tirando le somme Goal! è stato nientemeno che uno di quei film che possono abbindolarti solo fino ai 13/14 anni, ovvero quando la parola “figa” ancora se ne sta ben lontana dalle tue orecchie, già troppo impegnate con “calcio”. Un film con il quale non si può e non si deve assolutamente essere oggettivi, sarebbe un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Bisogna prenderlo per quello che è: un tipico prodotto dei primi anni 2000; una commercialata finanziata da Adidas e FIFA per far venir voglia ai bambini (soprattutto americani) di piantarla con gli altri stupidi sport e giocare al giuoco (come dice il buon Silvione) del calcio, proprio in vista della kermesse del Mondiale 2006. Quello che abbiamo vinto. Contro i francesi. Dopo aver battuto la Germania in semifinale.
Ancora godo.