Film

Green Book: come assicurarsi un Oscar (e rielaborare un po’ Kingdom Hearts)

Esiste qualcosa di più bello delle trasformazioni hollywoodiane? Spike Jonze che passa dall’inventare Jackass all’Oscar con Lei, Adam McKay che si lascia alle spalle (senza mai dimenticarla) la commedia demenziale per creare il suo stile definitivo con La grande scommessa e Vice (che dovrebbe accaparrarsi ogni Oscar possibile). E ora Peter Farrelly, già regista di film come Scemo & più scemo, Tutti pazzi per Mary, Io, me & Irene (la maggior parte con il fratello Bobby, però) che si lancia verso almeno un paio di statuette con Green Book.

Però parliamoci chiaro fin da subito: Green Book è un buon film. Per molte persone potrebbe anche essere un ottimo film. Il problema fondamentale? È un film facile. Nel senso che si appella a sentimenti basilari semplici da agganciare, con immagini chiare, già un po’ viste, alcune molto efficaci, altre troppo didascaliche. Green Book è un film che fa bene, ma che poteva fare meglio.

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Una cosa su tutti? La comicità. Ero convinto che Farrelly avrebbe inserito la sua verve anche in Green Book, ma evidentemente di Adam McKay ne abbiamo solo uno. Il film tiene sempre un po’ il freno a mano sotto questo punto di vista, rallentandosi da solo senza spingere, senza finire nel dissacrante, nell’esagerato, magari nel grottesco, luoghi rischiosi, sì, ma dove si può trovare la chiave di lettura più profonda contro il razzismo. Senza calcare l’occhio sui camerieri di colore o i raccoglitori di cotone. Immagini forti, ma già viste e, per rimanere in tema, facili.

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Certo è che, paradossalmente, Green Book vuole raccontarci del rapporto Red & Toby tra il pianista nero (ma solo in apparenza) Mahershala Ali e l’autista/buttafuori quasimafioso Viggo Mortensen eppure… il centro del film è proprio il virtuoso Don Shirley. Mahershala Ali compie l’ennesimo lavoro maestoso sul personaggio, che dovrebbe valergli un Oscar più che meritato. Gli bastano pochi cenni, un occhio più sgranato, un sorriso, un movimento del capo e noi siamo lì, magnetizzati, incapaci di staccarci dalla bravura di un attore che attualmente ha pochissimi eguali. Vedere True Detective 3 per credere.

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Perché è inutile fare finta: il rapporto tra i due non è mai davvero complicato, o in crisi. Qui sbaglia Green Book: facendo fare a Tony quel gesto con i bicchieri a inizio film (che delineerebbe il personaggio in maniera tragicamente netta) e poi non restando su quella linea, ma scivolando tranquillamente verso una complicità/amicizia che non è mai messa davvero in crisi. Tony sembra “estremo” ma in realtà non lo è, perché già dal primo colloquio fra i due si capisce che non c’è vera tensione. Ecco perché Green Book ti inganna, facendoti credere che sia un “buddy movie” dove il razzista, a fine film, smette di esserlo. In realtà è Don quello che deve “smettere”, quello che deve accettarsi, capirsi e fare pace con le due anime che lo tormentano.

Per un videogiocatore che è cresciuto con Kingdom Hearts allora è impossibile non pensare a uno dei protagonisti della saga: Riku. Diviso sempre tra luce e oscurità, Riku trova sé stesso con questo dialogo:

Riku: Cosa mi farai scegliere adesso?
DiZ: Tra la strada per la luce e quella per l’oscurità.
Riku: Nessuna delle due fa per me. Prenderò la via di mezzo.
DiZ: Vuoi dire quella del crepuscolo per il calar della notte?
Riku: No. È la via per l’alba.

Lo scambio è perfettamente applicabile al Don Shirley di Green Book, vero fulcro di tutta la pellicola. Don viaggia per cambiare gli altri, sì, ma anche e soprattutto per trovarsi, perché vuole capire chi è, vuole la sua via di mezzo. Non sa ancora quanto ne ha bisogno, e il tour serve per mettersi in crisi, scardinarsi, eliminare quella comfort zone mentale nella quale non riusciva più a vivere.

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Ecco allora che Green Book si riscatta con la scena al bar, emblematica, dolce, intensa e giusta, nell’economia di un film che sembrava sbandare qua e là (l’altra rivelazione personale su Don buttata così a casaccio) ma che si scopre solo in quel momento, con un bicchiere di whisky tolto dal pianoforte e un virtuosismo su Chopin (spero fosse Chopin, la mia cultura musicale è ferma ai Gazosa). Don diventa finalmente sé stesso, si accetta e capisce che la maggior parte della gente rimarrà rozza, ignorante e stupida, ma se sai chi sei e fai amicizia con i demoni che hai dentro allora non esiste tavolo al quale non potrai sederti.

Edoardo Ferrarese

Folgorato sul Viale del Tramonto da Charles Foster Kane. Bene, ora che vi ho fatto vedere quanto ne so di cinema e vi starò già sulle balle, passiamo alle cagate: classe 1992, fagocito libri da quando sono nato. Con i film il feeling è più recente, ma non posso farne a meno, un po' come con la birra. Scrivere è l'unica cosa che so e amo fare. (Beh, poteva andare peggio. Poteva piovere).
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