
Guida galattica per autostoppisti, o di come affrontare col sorriso la vita, l’universo e tutto quanto
Prendete l’eredità dei Monty Python, mischiatela con un po’ di nerditudine squisitamente made in the U.S.A., aggiungeteci un libro che ci sta sempre bene e otterrete la Guida galattica per autostoppisti, il perfetto manuale per affrontare “la vita, l’universo e tutto quanto”. Oltre che il divertentissimo film che Garth Jennings si è divertito a girare dopo essersi sparato l’omonimo romanzo di Douglas Adams, il primo di una serie di cinque tomi con tema le (dis)avventure galattiche, a sua volta basato su un programma radiofonico e già antenato di una non fortunatissima serie Anni Ottanta. Mal di testa? Non temete, è solo l’inizio.
Guida galattica per autostoppisti racconta le peripezie di Arthur Dent, un trentenne come tanti che un giorno si ritrova sotto casa un esercito di ruspe: la sua villetta dovrà essere abbattuta per far posto a una superstrada. Gigantesca seccatura, vero? Beh, dipende dai punti di vista: diventa infatti poca cosa sapendo che alcuni minuti dopo sarà l’intera Terra a venir spazzata via, in nome di una superstrada, sì, però galattica. Per fortuna che Arthur, che ha il faccino imbranato e adorabile di Martin Freeman, può contare su Ford (Mos Def), amico di vecchia data che si rivela essere un alieno. Il suo lavoro? Scrivere e tenere costantemente aggiornata la guida galattica per autostoppisti, semplice. La cui copertina recita il mantra di tutto il film: Don’t panic, niente panico.
I nostri eroi, armati dei loro inseparabili asciugamani, fronteggeranno gli esseri più strani e variegati: dai Vogon, orridi e pedanti burocrati incapaci di formulare un pensiero diverso da moduli e discutibili poesie, all’improbabilità infinita, fenomeno che viene invocato in modo più o meno inconsapevole quando il gioco si fa duro, al presidente dell’universo (Sam Rockwell), più preoccupato di distribuire autografi su documenti rischiosissimi che di amministrare il regno. Non saranno però soli: con loro ci saranno Marvin, robottino intelligentissimo, depresso e un filino nichilista, e Tricia (Zooey Deschanel), l’immancabile ragazza carina, ribelle e grande amore del povero Arthur.
Guida galattica per autostoppisti ha il raro pregio di riuscire a piacere sia a schiere di fanatici di fantascienza che a gente che di norma schifa il genere – vi lascio liberi di immaginare a quale categoria possa appartenere la sottoscritta: perché è autoironico, scanzonato, incalzante e ricco di perle. Un esempio? Tra i camei figurano nientemeno che John Malkovich, istrionico sfidante del presidente, e Bill Nighy, ingegnere incaricato di ricreare una copia perfetta del nostro pianeta. Eppoi le citazioni colte: Star Wars, naturalmente, ma anche Il grande Lebowski ed il fascino discreto dell’accappatoio, e film che all’apparenza non avrebbero nulla a che fare con questo – eppure, i bimbetti minuscoli che interrogano il Pensiero Profondo non vi ricordano i ben più inquietanti vecchietti di Mulholland Drive?
Ah, a proposito: il Pensiero Profondo è una specie di mega computer che sta sul pianeta Magrathea e che deve rispondere alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto, per l’appunto. Inutile dire che la risposta si rivelerà oscura; ma forse, la vera questione sta proprio nella domanda.
Guida galattica per autostoppisti si può riassumere così: due ore di animazioni, risate, nonsense e chicche imperdibili, a partire dalla fuga dei delfini iniziale: “addio e grazie per tutto il pesce”, un modo splendido per sfottere il genere umano così tronfio e saccente. Perché in fondo, scappare dalla Terra e vagabondare per le galassie insieme alla dolce metà e ad un asciugamano non deve essere così male. Con la guida adatta, beninteso.