Film

Halloween: doveva essere solo un film sulle baby-sitter…

Il capostipite del genere slasher doveva chiamarsi The Babysitters Murders. Non ci credete? Peggio per voi.


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L’amore di mamma.

La notte delle baby-sitter

1978.

America.

L’America del riflusso, della fine degli anni Settanta, un’America di villette a schiera e famiglie benpensanti. Un’America in cui è appena finito l’incubo del Vietnam, che esce con le ossa rotte dopo il Watergate. L’America di Jimmy Carter, l’America che presto sarà quella degli anni Ottanta griffata Ronald Reagan, un Paese che non vuol fare altro se non divertirsi, distrarsi, uscire. Un’America, in sostanza, sotterraneamente violenta e in cui, visto che i genitori sono sempre a zonzo la sera, cominciano a pullulare le baby-sitter.

In quella America, nei grigi uffici dell’ormai obnubilata Compass International Pictures di Los Angeles, uno dei tanti produttori con pochi soldi e tante idee che animavano il Cinema dell’epoca ha il cosiddetto colpo di genio. Il suo nome è Irwin Yablans e probabilmente non ha mai più vissuto un giorno tanto radioso come quello in cui se ne uscì con questo proposito quantomeno bislacco: “Facciamo un film horror di serie Z in cui un misterioso serial killer fa a fette un gruppo di amiche baby-sitter”. Pare fosse stato ispirato da numerosi fatti di cronaca nera, pare anche si fosse fumato qualcosa, sta di fatto che questa rimane un’idea geniale, un’idea soave, un’idea da grigliata…

Animato dal fuoco sacro del lampo di genio, Yablans comincia a mettere insieme il team che darà vita ad Halloween: tanto per cominciare decide di affidarsi a un regista giovane, malleabile e promettente, che costi poco e renda molto. Ce lo vedo a scorrere il dito lungo il catalogo dei registi “Costo poco / Rendo molto”, fino a incontrare il nome che gli avrebbe cambiato la vita per sempre: sua maestà John Carpenter, classe 1948, giovane rampante autore, fino a quel momento, di Dark Star (1974) e Distretto 13 – Le brigate della morte (1976). Vicino al nome c’era anche una postilla: “Se la cava anche con le colonne sonore”.

Musica per le orecchie spilorce del produttore.

Dopo il regista toccava al cast. Ebbene, come sanno tutti, negli horror di serie Z non può mancare lei, la protagonista indiscussa: la scream queen, ovvero la figa di turno, possibilmente tettona e dotata di strillata a 210 decibel. In Halloween fa così il suo esordio una delle attrici più iconiche degli anni ’80/’90, ovvero la splendida e pettoruta Jamie Lee-Curtis.

Le esco in Una poltrona per due, tranquilli…

Per il ruolo del dottor Loomis, Carpenter aveva idee ben precise: Christopher Lee in primis, Peter Cushing (a.k.a. il governatore Tarkin di Star Wars) in secundis. Il budget risicato fece sì che dovette poi “accontentarsi” di Donald Pleasance, che diede qui una delle sue prove più memorabili.

La leggenda dice che queste furono le incoraggianti parole che Pleasance riferì a Carpenter dopo aver letto la sceneggiatura:

Non capisco il copione e non mi piace. L’unica ragione per cui ho accettato è perché il tuo primo film è piaciuto molto a mia figlia.

Mecojoni.

Un altro dei colpi di genio che hanno caratterizzato la pre-produzione di Halloween venne al giovane scenografo Tommy Lee Wallace (che nel 1990 dirigerà la cultissima trasposizione televisiva di It) e si concretizzò nell’acquisto per due dollari (non è un modo di dire, spese veramente due dollari) di una maschera raffigurante il viso di William Shatner, cioè il capitano Kirk della serie di Star Trek.

Sapete la cosa divertente? Per il suo Michael Myers, Carpenter gli aveva chiesto di trovare la maschera più inespressiva esistente sul mercato. William Shatner, professione attore, per Wallace ha la faccia più inespressiva del mondo. È già carnevale di Rio.

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Spazio, ultima frontiera.

Si chiama Halloween perché uscì ad Halloween

Prima abbiamo detto che Yablans era in cerca di un regista giovane, promettente e malleabile, peccato però che gli capitò uno dei registi più testardi e indipendenti di sempre. Probabilmente Carpenter era il classico bambino che non si faceva comandare a bacchetta nemmeno da sua madre, figuriamoci da un produttore…

Una volta messo insieme il cast e assicuratosi la leadership, Carpenter rimodellò il concept della produzione, cestinando il titolo originario (The Babysitters Murders) e passando al molto più catchy Halloween (dato che venne rilasciato nelle sale proprio la sera di Halloween). Quello che mette in scena il regista di Carthage non è un semplice filmetto da drive-in per quindicenni scemi, ma un capolavoro di freddezza e realismo che non ha eguali nella storia del cinema horror: per la prima volta (o forse la terza, se vogliamo contare anche Psycho e Non aprite quella porta) gli omicidi mostrati in scena non sono grotteschi, non sono naif, ma sono crudi, gelidi, terra-terra. Le coltellate di Michael Myers sono tangibili: il suo non è un vampiresco ed elegante morso sul collo di una vergine trasognata, ma un coltellaccio da cucina che infilza schiene di adolescenti arrapate. Questo è Michael, questo è Halloween.

Il mostro senza volto

L’inespressività di Michael Myers (o forse dovremmo dire del povero William Shatner) conferisce quell’aura di sovrannaturale che il serial killer si porta dietro fin dalla sua prima apparizione. Michael uccide per natura, senza logica, raziocinio o movente. Uccide perché la sua natura è quella di distruggere, devastare e lo dimostra fin dall’incredibile prima scena: un piano sequenza in soggettiva durante il quale il Michael bambino fa a pezzi la propria famiglia. Una di quelle sequenze degne dei tanto famosi 92 minuti di applausi resi noti dal ragionier Fantozzi.

Questa è una peculiarità che Carpenter si porterà dietro durante la sua lunga carriera: creare antieroi, figure grigie, non manichee e dalle intenzioni non ben definite come Jena Plissken (1997: Fuga da New York; Fuga da Los Angeles), la cosa (La Cosa), Jack Burton (Grosso guaio a Chinatown) e John Nada (Essi vivono). Proprio la loro essenza contraddittoria rende tutti questi personaggi memorabili: che siano “buoni” o che siano “cattivi” non si sa mai fino a che punto e, soprattutto, per quale motivo.

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Dawn of the slasher

Halloween, costato poco più di trecentomila dollari, incassò una non ben definita camionata di milioni (alcuni dicono 40, altri più di 70), sta di fatto che fu un botto clamoroso e contribuì a issare il giovane Carpenter nell’Olimpo dei giovani e promettenti registi di genere che stavano esordendo in quegli anni.

Ovviamente vennero messi in cantiere innumerevoli (otto) seguiti, tra canonici e apocrifi, della saga di Michael Myers (nessuno all’altezza dell’originale), arrivando ai recenti reboot firmati da Rob Zombie (Halloween: The Beginning, 2007; Halloween II, 2009). Ad Halloween e a Non aprite quella porta (Tobe Hooper, 1974) si deve la nascita di quel filone horror definito “slasher” che ha spopolato negli anni Ottanta (vedi i vari Nightmare, Venerdì 13, Candyman, bambole assassine, fino ad arrivare alla meravigliosa parodia fattane da Scream nel 1996).

Carpenter contribuì componendo anche la raggelante colonna sonora, una delle più citate della storia del cinema, perfetta per sottolineare l’angoscia e il senso di alienazione che tutto il film trasmette. Che poi alla fin fine, se ci pensate, non è che il film sia così tanto diverso rispetto all’idea di base: un pazzo maniaco prende a coltellate delle ignare e procaci baby-sitter durante la notte di Halloween.

Tutto ciò alla maniera di Carpenter ovviamente, il che vale più di mille altre parole.

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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