COSA C’È DI BUONO STASERA?
Ricordo ancora la prima volta che vidi la pubblicità di Hannibal su Italia 1.
Quattordici secondi di una cucina nella penombra, il volto spigoloso di Mad Mikkelsen e la scritta “Un altro programma di cucina?”.
Quattordici secondi. Sufficienti a lasciare il segno nella mia mente ancora pura e incontaminata dalle serie tv (fatta eccezione per Heroes, ma quella sarà un’altra storia…).

In quel periodo però, vivevo ancora nel mio piccolo paese fuori dal mondo e vedere una serie in streaming era letteralmente impossibile (56k: non dico altro), per cui avrei dovuto aspettare di trasferirmi per l’università.
Forse è proprio per questo motivo che mi sento così legato ad Hannibal: era la prima serie tv che guardavo grazie alla prima linea Adsl della mia vita nella prima casa dove abitavo senza i miei genitori.
Che belle le prime volte!
A parte questo legame affettivo ho deciso di scriverne perché durante gli anni ho conosciuto tantissime persone che non ne avevano mai visto nemmeno un episodio e, a distanza di 4 anni, sento ancora il bisogno morale di parlarne e consigliarla a tutti.
È DAVVERO COSÌ INTERESSANTE?
Sì!
Hannibal è una serie che arriva dopo la trilogia di film interpretati da Anthony Hopkins, che tuttora annovero tra i miei film preferiti di sempre. Il peso della responsabilità è di quelli importanti ma non abbiate paura: questa è davvero una perla di rara bellezza.

Il produttore e sceneggiatore è Bryan Fuller, uno che prima del 2013 aveva già avuto un discreto successo con le serie Wonderfalls e Dead like me del 2004 e Pushing Daisies del 2007. Neanche a farlo apposta appare anche come scrittore di alcune delle puntate della prima stagione di Heroes (coincidenze??), una delle quali viene inserita nella classifica di TV Guide “100 greatest episodes in television history”.
Con Hannibal però, Fuller produce un piccolo capolavoro, che come tale non viene apprezzato dal grande pubblico nonostante una qualità ineccepibile.
TRAMA
Il primo protagonista è il criminal profiler Will Graham, interpretato da Hugh Dancy, ex-detective dell’FBI in grado di immedesimarsi in maniera straordinaria nelle menti criminali dei serial killer.
Questa abilità però mina la stabilità psicologica di Will, che viene spinto dal suo superiore Jack Crawford (Laurence Fishburne) a frequentare delle sedute psicoterapeutiche con il dottor Hannibal Lecter (Mads Mikkelsen).
Uno degli elementi più affascinanti della serie è la dualità del protagonista, equamente spartita tra Will e Hannibal. Il loro rapporto raggiunge una profondità quasi antologica, che non rovina affatto il carattere thriller di base e aggiunge uno spessore che, a distanza di anni non ho ancora ritrovato in nessun’altra serie (forse in The OA?).
Nonostante in un primo momento possa sembrare una serie procedurale a sfondo investigativo, in realtà lo sviluppo avviene con un climax di eventi che nella mente di Fuller avrebbero dovuto articolarsi in 7 stagioni.
Così non è stato e a distanza di tempo posso ammettere che il target di spettatori ai quali si rivolge Hannibal è davvero ristretto dato che stiamo parlando un thriller profondamente psicologico, horror e un po’ (tanto) splatter.
Non voglio anticipare nulla ma sì, è molto più cruento e sanguinoso di quello che si possa pensare.
Con un curriculum così complesso il presagio che il bacino di utenza si sarebbe ridotto sempre più era perlomeno preventivabile. Un po’ come la storia che più lauree hai e più farai fatica a trovare lavoro.
Alla fine della seconda stagione il calo dell’audience e gli elevati costi di produzione hanno concorso nel creare un disastro con la terza e conclusiva stagione, totalmente slegata dal concetto delle prime due.
Non mi piacciono gli spoiler ma sappiate che ammetto che non valga la pena guardarla.
MASTERCHEF AD HONOREM
Penso valga invece la pena sottolineare l’aspetto più godibile dell’intera serie: Hannibal che cucina (gente).
Le parti in cui Lecter caccia, cucina e imbandisce banchetti per i suoi ospiti sono delle vere e proprie sequenze da occhi sbarrati! La cura con cui sono state studiate queste scene ci fa capire quanto i dettagli segnino davvero il confine tra un buon prodotto e un prodotto eccellente.
Mi soffermo un istante per fare un plauso alla bravura dell’attore danese perché sembra davvero nato per il ruolo di Hannibal. Non solo riesce a non far rimpiangere Anthony Hopkins, ma soprattutto interpreta ogni scena con una cura dei dettagli nelle espressioni, nei toni e nei dialoghi semplicemente impressionante.
Discorso che in realtà si può fare anche per Hugh Dancy, a cui tocca interpretare il più fragile e instabile dei personaggi e nonostante questo fare anche la parte del buono!

CONCLUSIONI
Il fatto è che in Hannibal non ci sono veri buoni o cattivi (“come nei film di Wes Anderson” cit.) perché tutti sono disturbati e tormentati a livello psicologico.
Non si salva nessuno ed è proprio qui il bello, perché in questo modo si possono mettere nello stesso scatolone follie provenienti da svariate menti e tutte si amalgamano nel canovaccio narrativo in un’unica grande follia collettiva.
Il limite tra il bene e il male viene prima messo in discussione e alla fine completamente distrutto, passando tra scene di lentezza olimpionica ad altre di violenza terrificante.
Detto ciò non mi resta che augurarvi di avere il tempo per godere di questo incompiuto e fugace capolavoro.
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