
Heath’s Ledger: I segreti di Brokeback Mountain. La natura spiegata ai conservatori
Ho scritto molti articoli sulla carriera di Heath Ledger, ma penso che questo film, ben prima de Il cavaliere oscuro, abbia rappresentato la sua consacrazione come attore.
Diventato ormai un classico contemporaneo, forse per avere iniziato a riempire una sorta di “vuoto tematico” della cinematografia mainstream (trattare l’amore tra uomini non come la storia di strani panda in riserva, ma come finalmente soggetto principale di ampio respiro), il film di Ang Lee iniziò la sua scalata ai premi internazionali proprio in Italia, vincendo un po’ a sorpresa il Leone d’Oro al Festival di Venezia del 2005.
Nonostante l’Oscar al Miglior Film mancato per un soffio in favore del pregevole ma dimenticabile Crash – Contatto Fisico di Paul Haggis, la fama e anche una sorta di “importanza sociale” di questo film non hanno fatto che crescere nel tempo.
Quando si parla di omofobia (detta genericamente, la repulsione, fastidio o rifiuto all’idea che la relazione tra due persone dello stesso sesso possa avere qualunque connotazione che vada oltre il “platonico”) si trascura quanto spesso si sovrapponga ad altro tipo di discriminazione, soprattutto quella maschilista. Per esempio, le donne lesbiche devono spesso scontare sulla propria pelle quello che è, a conti fatti, un miscuglio di omofobia e misoginia: se la loro rappresentazione risulta piacevole allo sguardo del maschio eterosessuale, allora gode di una sorta di “bollino lasciapassare”. In caso contrario, le donne lesbiche vengono dipinte come respingenti, invisibili, inutili.
Allo stesso modo, la discriminazione verso gli uomini gay vede mischiarsi quasi sempre l’omofobia e le pressioni sociali sulla mascolinità. Due padri sono meno accettati che due madri, un bacio tra uomini è considerato più “visivamente indigeribile” che un bacio tra donne, e così via.
Io penso che la potenza di Brokeback Mountain (il cui titolo italiano, I segreti di Brokeback Mountain, mi è sempre sembrato gli desse un che di losco: cosa siamo, a Twin Peaks?) si innesti proprio lì, nel giocare con una delle grandi iconografie tradizionali della mascolinità, il cowboy. I due personaggi ne mantengono tutte le caratteristiche: poche parole, difficoltà a esternare le emozioni, aggressività. Che diventa poi l’unico alfabeto con cui riescono a gestire ciò che sperimentano.
Un rapporto che dura vent’anni e che sino all’ultimo mantiene la maschera delle “camere separate”: nemmeno uno di fronte all’altro Ennis e Jack riescono a essere pienamente loro stessi, a dirsi la verità.
A più di tredici anni di distanza, possiamo ormai dire per certo che quel film fu una pietra miliare, anche perché vide confrontarsi in scena due dei più bravi attori della loro generazione, Heath Ledger, appunto, e Jake Gyllenhaal.
Pur essendo il film tratto da un racconto del premio Pulitzer Annie Proulx, fu Heath a caratterizzare fortemente il personaggio di Ennis del film, così chiuso, teso, emotivamente contratto. Jake, di contraltare, costruisce un Jack che è l’opposto di Ennis, dando vita a un evidente yin/yang. La sinergia tra i due attori è un piacere per gli occhi e meritevole, anche a distanza di anni, di essere studiata nelle scuole di recitazione: la dimostrazione palpabile di come il talento di un attore possa tirare fuori il meglio dall’altro e viceversa. Entrambi furono candidati agli Oscar, curiosamente non alla pari ma come Protagonista Heath Ledger e Non protagonista Jake Gyllenhaal, forse per dare più chance a entrambi.
Comunque, nessuno dei due vinse. Heath trionfò tre anni dopo, con l’Oscar postumo per il suo capolavoro recitativo/canto del cigno: il Joker de Il cavaliere oscuro. Jake, come sappiamo, è tuttora in attesa di una nuova nomination.
Se messo in paragone con il recente Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino (2017), sono molte le vicinanze tematiche: in entrambi i film si parla di un imprevedibile amore nato durante un’estate, che si sedimenta nella memoria come condizione di perfezione irripetibile. Ma la risoluzione delle due pellicole di fronte alla medesima dinamica è opposta, due facce della stessa medaglia: se il film di Guadagnino vive quell’amore come un’educazione sentimentale che non ci si deve pentire di aver attraversato pur nel dolore, Brokeback Mountain parla di come questo non basti e di come l‘amore abbia bisogno anche di vicinanza, consuetudine, persino routine, per non essere “mutilo”.
Ennis e Jack portano fortemente, rispetto a Elio e Oliver, la croce di vivere in una società che non li riconoscerà mai come “compagni di vita” e questo verrà confermato ulteriormente dal finale del film. Tale riconoscimento avviene, tardivo, solo l’uno verso l’altro, ma non oltre.
Brokeback Mountain è uno “slow film”, intenso, difficile, che parla, senza parlarne esplicitamente, della contrapposizione tra le mille sovrastrutture sociali, i mille paletti che ci mettiamo da soli ogni giorno, e la natura nella sua forza primordiale – meravigliosamente fotografata nella prima parte del film -, con cui non si può contrattare più di tanto. Non può essere “contro natura” un istinto che è la natura stessa a far emergere.
Durante le riprese del film, Heath Ledger conobbe Michelle Williams, che interpreta nella pellicola l’infelice moglie di Ennis e che nella realtà pochi mesi dopo lo rese padre di una bambina, di cui Jake Gyllenhaal fu il padrino di battesimo.
Paradossalmente, questo film diede vita a tutti gli effetti a una famiglia.
Se avete voglia di recuperare le recensioni dei film di Heath precedenti a Brokeback Mountain, ecco la lista completa: