
Her. Se ti innamorassi del tuo computer sarebbe amore per davvero?
Her: la fantascienza romantica del visionario Spike Jonze
Un film che fa innamorare
“Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?”, si chiederebbe Raymond Carver (o Riggan Thompson di Birdman). Una delle domande di fondo che muove lo spettatore alla scoperta di Her potrebbe essere benissimo questa.
Che cos’é l’amore? Come nasce? Come si trasforma? Quando possiamo parlare di amore per davvero?
Il visionario Spike Jonze ci dipinge un futuro molto molto prossimo dove Theodore Twombly (uno straordinario Joaquin Phoenix) è una specie di ghost-writer che ha il compito di scrivere lettere per conto dei clienti dell’azienda. Non parliamo di lettere di lavoro o in risposta alle raccomandate dell’Enel, ma lettere personali, dirette ad amici, amanti, coniugi, genitori, figli, fratelli. Proprio quelle lettere che dovrebbero essere vergate di proprio pugno, insomma.
Theodore può farlo però, perché è maestro nell’arte di fingersi nelle persone che incrocia per strada, la sua dote più straordinaria è proprio quell’empatia che sarà centrale per tutto il resto del film.
Il personaggio di Phoenix è dolente, un buono ombroso, che sta uscendo da un divorzio difficile e che non se la passa affatto bene. Ha pochi amici, non li vede quasi mai perché tende a isolarsi e divide il suo tempo libero – cito lui – “tra videogiochi e film porno”. Tutto cambia però quando vengono rilasciati gli OS, un nuovo tipo di sistema operativo capace di simulare una coscienza vera e propria. Ecco come Theodore conoscerà Samantha (che, tanto per trovarle una voce poco seducente, in lingua originale è doppiata da Scarlett Johansson), il proprio OS, ed ecco come i due si innamoreranno fatalmente uno dell’altro.
Sole, cuore, distopia
Non devo certo arrivare io a elogiare la perfezione della sceneggiatura di Her, visto che ci ha già pensato l’Academy consegnando a Spike Jonze (che oltre a dirigerselo se l’è pure scritto) il relativo Oscar dell’Anno Domini 2013.
La scrittura di Jonze fa il pari con una fotografia leggera, calda e rassicurante e diventa un dialogo estremamente intimo tra i due personaggi principali. Her è certamente una storia d’amore, ma non di quelle mielose à la Rosamunde Pilcher o Nicholas Sparks, ovvero i genitori di quella serie di filmacci i cui screenshot hanno fatto da immagine del profilo a molte delle nostre amiche.
Non mentite: a noi Pippo Inzaghi o Alex Del Piero, a voi Le pagine della nostra vita. Uno a uno e palla al centro.
Con Her Jonze dà vita a un genere difficilmente replicabile: la fantascienza, che (soprattutto la variante distopica) di solito viene utilizzata per evidenziare i mali del presente, oppure per prospettare futuri sconvolgimenti (Black Mirror vi dice qualcosa?) viene questa volta sfruttata per proiettare interrogativi sul futuro dell’amore.
Jonze è stato in grado di rinnovare, di parlare del futuro sfruttando e dando nuova linfa al tema artistico più antico e trito che Mamma Storia ricordi, ponendo l’accento non tanto sulla stranezza o sulle conseguenze nefaste di un amore tra uomo e macchina, ma sulla sua realtà. Perché il sentimento per una persona dovrebbe essere reale, mentre quello per un sistema operativo no?
Il melodramma palpitante
Theodore e Samantha si conosco, si confrontano, vivono il loro amore in modo assolutamente naturale, e il film si snoda, diventando come una calda coperta che coccola gli occhi e il cervello dello spettatore. Jonze riesce nella non semplice impresa di rendere palpitante il melodramma, un melodramma tenero, ma niente affatto smielato, che stupisce per la profondità degli interrogativi che fa venire a galla, che emoziona semplicemente per una delle storie d’amore più belle che siano mai state raccontate.
Phoenix è un interprete eccezionale (anche perché è quasi sempre l’unico attore in scena) e ci regala una prova tanto intensa quanto vera, palpabile. Riesce a incarnare perfettamente Theodore, a sfaccettarlo, a renderlo un personaggio in costante sviluppo che nasconde lati del suo essere dai quali farci sorprendere.
Il resto del cast è composto da una Amy Adams non molto presente, ma comunque significativa, che diventa una spalla importante per Theodore e soprattutto per chiarire cosa pensa lui del suo rapporto con Samantha, quali sono i suoi dubbi, le sue debolezze, le sue domande. C’è poi una sempre più emergente Rooney Mara (apparsa di recente in Carol e che risulta irriconoscibile dopo averla vista nei panni di Lisbeth Salander in Millennium – Uomini che odiano le donne) nel ruolo di Catherine, l’ex moglie di Theodore, oltre che un simpaticissimo cameo vocale di Kristen Wiig (tutte brutte eh…), già vista in I sogni segreti di Walter Mitty. Il resto del film pesa tutto sul viso intenso di Phoenix e sulla voce della Johansson, tanto per farvi capire l’eccezionalità della cosa.
Chi è Spike Jonze?
Nome d’arte di Adam Spiegel, Jonze è la figura più vicina allo stereotipo di artista eclettico e visionario: regista, sceneggiatore, attore, autore di spot pubblicitari, co-autore della serie Jackass e chi più ne ha più ne metta.
Diventato celebre per una roba malatissima come Essere John Malkovich nel 1999 (prima che John Malkovich si dedicasse a una colossale schifezza come Eragon), Jonze cambia completamente registro, passando dal surreale a un nuovo tipo di fantascienza intimista, niente affatto fracassona (tipo Indipendence Day: Rigenerazione), che funziona giusto da pretesto e involucro di una storia d’amore classica.
La sua regia si muove delicatissima, passando da dettagli a panoramiche, attacca subito con un primo piano/monologo memorabile e sa miscelare bene un montaggio dal ritmo misurato, ma utilissimo per soffermarsi sugli oggetti, aprire squarci su flash di un passato che fa male e non è ancora scomparso.
Stiamo parlando di un artista eccezionale che dovrebbe essere (e sarà) ricordato di più nel novero dei grandi, così come questo film, passato forse un po’ troppo sotto silenzio e già dimenticato.