Lo diceva Marge Simpson, no? Sapete, può anche darsi che i tribunali non funzionino più, ma finché ognuno di noi registrerà l’altro giustizia sarà fatta. La puntata in questione era Homer l’acchiappone, quella in cui veniva accusato di molestie sessuali ai danni di una studentessa, mettendo poi in moto la macchina boldriniana della giustizia (non proprio contro il voyeurismo, ma siamo lì). Merda, dite che mi querela? Però ho reso il suo cognome un aggettivo dai, magari me la cavo con uno scappellotto sulla nuca. Così poi posso dire di essere stato molestato e… no, scusate, la corrente mi stava portando verso Kevin, mea culpa.
Ricominciamo. La citazione è ficcante, perché il caro giardiniere Willy quello faceva: filmare le persone o, in senso molto più lato, spiarle senza farsi vedere. Ma il Cinema questa cosa la fa da sempre, direte voi, riflette sul suo medium con pellicole su pellicole dove lo sguardo viene analizzato, destrutturato e sparato in faccia allo spettatore che diventa tutt’uno con la celluloide, sempre più affetto da voyeurismo di quanto già non fosse.
Perché diciamocelo: siamo tutti un po’ voyeur. Nel senso buono eh, non che ci mettiamo impermeabili lunghi a ferragosto per andare al parco. Però capitasse la vicina o il vicino che si spoglia non butteremmo l’occhio? Dai, confessatevi, la polizia postale non sta guardando e non promuove questo articolo, promesso.
Volendo essere inserire termine filosofico corretto per sopperire all’ignoranza dello scrittore, l’atto di guardare un film è già di per sé voyeurismo. E quindi quali sono (e quali sono i migliori, secondo il mio inutile parere) i film che hanno fatto di questo tema un pilastro su cui costruire capolavori della settima arte? Fatemi appoggiare il binocolo e ve lo dico.
Due cose rapidissime: la mia non è una classifica e li metterò in ordine temporale. Ok, pronti? Tanto quelli nell’appartamento di fronte hanno chiuso le tapparelle.
La finestra sul cortile (Alfred Hitchcock, 1954)
Ok Psyco, e volendo anche La donna che visse due volte, ma il capolavoro di Hitchcock sul voyeurismo cinematografico è proprio La finestra sul cortile. Il caro James Stewart interpreta il fotografo Jeff, costretto sulla sedia a rotelle da una gamba rotta. Senza Netflix e i porno su internet due maroni, no? Quindi il nostro protagonista comincia a spiare con macchina fotografica e binocolo tutto il micromondo del suo vicinato, che ticchetta esattamente come uno spettacolo teatrale. Però chi guarda indisturbato spesso e volentieri vede quello che non dovrebbe… Comunque, inutile stare a ribadirvi quanto questo film sia un capolavoro della storia del Cinema, sfruttando lo sguardo come indagine, colpa, opportunità, analisi e, volendo, anche salvezza.
Livello voyeurismo: Ned Flanders che uccide la pianta preferita di Maude.
L’occhio che uccide (Michael Powell, 1960)
Il film voyeuristico per eccellenza, perlomeno applicato al cinema. Powell mette magistralmente in scena la storia di un serial killer morbosamente attaccato alla sua macchina da presa, con la quale filma l’omicidio delle sue vittime, estrapolandone quasi un’estasi erotica. Un gioco a incastri della sua mente contorta che noi proviamo a sbloccare, diventando doppi spettatori (della sua vita, dei suoi crimini e del loro compulsivo rewatch), venendo affetti da una delle più belle forme di voyeurismo possibile. Capolavoro assoluto. Ah, il titolo originale è Peeping Tom, che in Britannia è il termine generale per indicare i guardoni. Cioè noi.
Livello voyeurismo: riguardare il finale di Dexter una volta al giorno.
Blow-Up (Michelangelo Antonioni, 1966)
Di nuovo un fotografo protagonista, ma questa volta la componente sessuale si miscela alla pellicola, con la celebre scena dell’ “amplesso attraverso la macchina fotografica” con la modella. Antonioni inserisce il voyeurismo nella decadenza londinese, rendendo il suo protagonista (interpretato da David Hemmings) spettatore della sua stessa vita e di un possibile crimine, dove le foto possono risolvere tutto… oppure niente.
Livello voyeurismo: guardare Tarkovsky che guarda L’eclisse.
La conversazione (Francis Ford Coppola, 1974)
Variazione sul tema: siamo al voyeurismo uditivo. Sì perché Coppola scrive e dirige un capolavoro dove Gene Hackman riempie le persone di microfoni per ascoltare tutto ciò che dicono (ma lo fa per lavoro, tranquilli, non si eccita sentendo la vecchia al terzo piano che lustra l’argenteria). Lavoro che diventerà poi ossessione, turbamento, impossibilità a stoppare quel nastro per sentire proprio quella coppia e… beh, scopritelo, lesti.
Livello voyeurismo: usare la colonna sonora di Psyco come sveglia.
Omicidio a luci rosse (Brian De Palma, 1984)
Ok non cominciate, De Palma ha sviscerato sto tema peggio di un giapponese con le balene: Le due sorelle, Blow Out, Omicidio in diretta e pure Redacted. Ma se dobbiamo sceglierne uno allora Omicidio a luci rosse è dannatamente perfetto. Attorucolo sfigatello (Craig Wasson) trova un posto dove vivere da un amico, in un mega appartamento sulle colline di Los Angeles. Qui il suddetto amico gli svela un segreto: c’è una donna che fa una sorta di numero erotico in una casa poco distante ogni notte, e lui se lo può godere con il telescopio vicino alla finestra. E che fai, non guardi? Sarebbe scortese, giusto? De Palma ci imbastisce attorno tutta la tematica del voyeurismo in maniera egregia, impregnando il film di rimandi sessuali (la scena del trapano è semplicemente da applausi), dato che il voyeurismo nasce proprio come parafilia.
Livello voyeurismo: trastullarsi spiando il proprio Black & Decker nella cassetta degli attrezzi.
Velluto blu (David Lynch, 1986)
Qui si torna a parlare di capisaldi della storia del Cinema, quindi c’è poco da dire: Lynch trasla il voyeurismo nei bei quartieri delle cittadine di periferia americane, dove tutto è perfetto e poi il crimine serpeggia (semicit.). Il nostro sguardo si infanga come quello di Kyle MacLachlachlachan, “sverginandosi” di fronte alla spirale discendente che solo una danza rubata con la vista da dentro un armadio poteva scaturire.
Livello voyeurismo: guardare giornalmente la lista plastificata delle cinque celebrità con cui si farebbe fiky-fiky e maledirsi per aver tolto Isabella Rossellini.
Sesso, bugie e videotape (Steven Soderbergh, 1989)
L’esordio alla regia di Soderbergh è un film perfetto, come un piccolo panettone senza un candito fuori posto. Quattro personaggi, tantissimo lavoro di scrittura, regia delicata e potente. Ma il voyeurismo? È tematico, imbevuto nella pellicola stessa, motore della storia senza mai sovrastarla: sono cassette registrate viste e riviste da un James Spader MASTODONTICO (io ho un amore folle per quest’uomo, che potrebbe essere l’attore più bravo di sempre ma non ne ha voglia, leggere per credere). Cassette che però rivoluzioneranno il piccolo micromondo del film, sotto ogni aspetto possibile.
Livello voyeurismo: andare di corsa in Inghilterra pensando che le registrazioni di FakeTaxi siano vere.
Strange Days (Kathryn Bigelow, 1995)
Che film pazzesco Strange Days. Scusate, ho un feticismo per la Bigelow (regista, eh). Siamo al voyeurismo fantascientifico: tramite gli apparecchi SQUID si possono rivivere in prima persona esperienze registrate e già vissute da altri. Più voyeur di così. Poi attorno c’è pure una storia con i controcojones, ma la morbosità dello sguardo, del suo ricordo e della sua continua rievocazione nella memoria viene portata ai massimi estremi con questo film. In particolare con una scena, QUELLA scena. Che se ci penso ho ancora i brividi per quanto sia dannatamente perfetta (e malata).
Livello voyeurismo: guardare un porno con il VR e accorgersi di stare molestando il divano.
The Truman Show (Peter Weir, 1998)
Anche qui siamo al cinema voyeuristico per antonomasia. Una delle più importanti riflessioni sociali, culturali ed etiche in anticipo sui tempi che la settima arte ha regalato al mondo, con un Jim Carrey da brividi. Poi però facciamo vincere Benigni eh. The Truman Show è la lezione di Orwell aggiornata, la morbosità resa globale, il grande livellatore che ci rende tutti voyeur, facendoci credere di non esserli davvero.
Livello voyeurismo: pagare per il televoto del Grande Fratello.
Essere John Malkovich (Spike Jonze, 1999)
Di nuovo la fantascienza, ma qui siamo al grottesco geniale: cosa c’è di più voyeur che entrare nella mente di un’altra persona osservando ogni sua singola mossa? È il voyeurismo definitivo, quello totalmente impunito, libero dalla morale e dai sensi di colpa. E magari anche da ordinanze restrittive. Charlie Kaufman scrive una perla del Cinema tirando in ballo il fantastico Malkovich, perché evidentemente nella sua testa c’era parecchio da divertirsi. Vederlo con le tette non ha prezzo, fidatevi.
Livello voyeurismo: Robin Scherbatsky che facendo sesso si eccita mentre si riguarda leggere il telegiornale alla tv.
Ok, anche per oggi è andata. Spero vi siate divertiti, abbiate pianto, magari siete rimasti incuriositi oppure un po’ confusi. Non preoccupatevi, riesco a vedervi tutti da casa mia, quindi vi ringrazio per essere arrivati fin qui. Mi sembra giusto concludere con una citazione del nostro amato giardiniere Willy:
Il mio hobby registrare nascostamente le coppiette sdraiate nella macchina è. Non mi sono fatto avanti prima perché la cosa in questo paese un pervertito sembrare ti fa. Ma allora in questo caso uno lo stesso lo fa, no?
Come dargli torto, no?