Dal punto di vista di un lettore della trilogia, il filo rosso di questa versione tv di His Dark Materials sembra… l’eiaculazione precoce.
Usando un paragone leggermente più fine, la serie assomiglia a quel tuo amico che non ce la fa proprio a tenere i segreti e ti deve spifferare che ti hanno organizzato una festa a sorpresa anche se tipo mancano solo tre giorni al tuo compleanno.
Non si tiene.
Se nel giro di due episodi – 2 e 3 – ci hanno già praticamente spiattellato davanti l’identità dei genitori di Lyra, a lasciare me molto più incerta è la decisione intrapresa da questo adattamento dei libri di giocare già la carta di quello che avrebbe dovuto essere, in realtà, il grande colpo di scena di fine libro: l’introduzione di altri mondi.
Infatti His Dark Materials non solo nella sigla, ma anche all’interno della narrazione chiarisce l’esistenza di almeno un altro mondo – chissà qual è – dove le persone sono senza daimon che li accompagni. Ancora più importante, che tra questo mondo e quello di Lyra si può transitare attraverso appositi passaggi. Vengono aggiunte, nella serie, intere scene non esistenti nei libri per introdurre già questo tema, colonna portante del tomo successivo, La lama sottile.
Il mio atteggiamento in questo caso è ambivalente. Non mi aggrada del tutto questa anticipazione così prepotente, ma devo anche ammettere che se c’era qualcosa che mi era dispiaciuto quando era uscito il film La Bussola d’Oro, era che la trilogia cinematografica si fosse fermata prima di quella che io ritengo la parte più interessante.
Quindi ecco, sbuffo in piena Sindrome da Carenza di Tom Bombadil, però allo stesso tempo credo di capire le ragioni di questa direzione diversa: la serie, a differenza dei libri, sta cercando di mettere in campo tutte le cartucce che rendono interessante l’universo creato da Philip Pullman, e che possano catturare l’attenzione anche di quegli spettatori più propensi a farsi scoraggiare dalla lentezza della narrazione nelle sue prime fasi.
Un plauso lo devo fare agli interpreti, che trovo sempre più in parte: Dafne Keen, che avevamo già apprezzato come attrice bambina in Logan, mano a mano che la storia va avanti si dimostra sempre più una Lyra perfetta, uscita dal libro. In considerazione del fatto che già di per sé si tratta di una ragazzina cresciuta in un college, un po’ selvatica ma non di meno intelligente e dotata di un linguaggio forbito per la sua età, la giovane interprete ha il dono di non risultare mai troppo affettata – se non nell’adattamento dialoghi italiano che pecca di una certa innaturalezza. Alcune traduzioni, soprattutto delle sue battute, risultano appesantite senza motivo nella nostra lingua.
Ottima anche Ruth Wilson come Signora Coulter, sempre più convincente da quando indossa a tutti gli effetti i panni di villain della storia. A proposito di panni: dopo due episodi in cui il suo personaggio non ha fatto altro che indossare abiti verde petrolio, finalmente qua c’è una brusca virata prima al rosso e poi al bianco.
Sto invidiando molto i suoi costumi di scena.
Il fiore all’occhiello di His Dark Materials – che la rende l’unico vero competitor attuale, a livello di budget, di The Mandalorian – è proprio l’apparato visivo. Se nel primissimo episodio non mi aveva convinto del tutto, apparendo molto meno lussureggiante che non nella versione cinematografica, da quando i personaggi sono approdati al nord sembra davvero di ritrovarsi nelle atmosfere di un libro di Pullman. Le scenografie sono meravigliose e piene di dettagli, così come vi sono molte inquadrature ad ampio orizzonte – tutta un’altra musica, se solo si ricordano le prime stagioni senza scenari, senza battaglie e senza comparse di Game of Thrones.
Qua poi il livello di difficoltà aumenta, perché, oltre ai daimon, la storia introduce una serie di nuovi personaggi tra cui l’orso corazzato Iorek. Avevo molto timore visto quanto era stato fatto bene nel film, ma devo dire che non sono rimasta delusa: seppur più tozzo e casereccio, è comunque realizzato benissimo per trattarsi di un prodotto televisivo e tutto sommato risulta credibile e integrato al resto.
Quando Lyra viene a sapere la vera identità di sua madre, il momento mi ha un po’ ricordato Animali fantastici i Crimini di Grindewald e non nel senso buono (esiste un senso buono nel paragone con quel film? Non credo).
Voglio dire che uno dei difetti maggiori di suddetto film era proprio imputabile al fatto di essere sceneggiato da una scrittrice come la Rowling. Se infatti uno sceneggiatore spesso diventa un campione del show, don’t tell – “mostra, non dire”, comunicare la trama attraverso ciò che si vede senza troppe linee di dialogo o, peggio, voice over -, la Rowling cadde nel tranello di utilizzare in un film gli stessi stilemi di un libro, con lunghi spiegoni didascalici.
Ecco, qua avviene un po’ la stessa cosa: c’è una scena veramente troppo lunga in cui un personaggio rivela a Lyra le sue origini, dal primo incontro dei suoi genitori fino alla scena che abbiamo visto all’apice del primo episodio. (E conclude con “so solo questo”. E meno male, perché se sapeva qualcosa di più gli recitava direttamente il referto dell’arcata dentale).
Anche in questo caso, la sensazione è che trattandosi dell’adattamento di un libro in His Dark Materials non si sia riusciti a fornire le stesse informazioni con mezzi diversi da quelli della mera narrazione lineare. È strano, sia perché è appunto una scena costruita apposta per anticipare una rivelazione che nel libro avverrà molto dopo, sia perché tutto sommato nel resto degli episodi questi spiegoni vengono più volte evitati con trucchi vari.
In tutto ciò… che fine ha fatto Lord Asriel? Manco una scena fuori campo.
Capisco che James McAvoy costa, ma qui per ora ha fatto praticamente un cameo, al primo episodio, e poi è sparito.
I creatori di Game of Thrones con il budget dovevano giostrarsi che in un episodio o sceglievano di far vedere i draghi, oppure i metalupi. Qui mi pare di aver intuito come va il carrozzone: o dirigibili, aurore boreali, orsi corazzati, streghe e Lin-Manuel Miranda, oppure James McAvoy. Su un fondale nero. In tuta.
Fossi nella HBO rivedrei un attimo la contabilità, altrimenti quasi perfetta.
(E la sigla mi è ormai entrata in testa, bellissima).
Recensione degli episodi precedenti: