
Hitchcock e il suo delitto perfetto
Non è un classico, ma è ugualmente perfetto.
Siamo nel 1954 quando il maestro Alfred Hitchcock porta sul grande schermo Il delitto perfetto (Dial M for Murder). Tratto da un’opera teatrale di Frederick Knott, si tratta di un film ambientato quasi interamente nella stessa stanza.
Tranquilli! Nella recensione non troverete spoiler!
La trama
Londra. Con poche immagini capiamo subito i preamboli senza dover ricorrere a parole. Ecco i coniugi Wendice: lui, un insospettabile ex campione di tennis; lei, nasconde da tempo al marito un amante che è da poco tornato da un lungo viaggio di lavoro. Il marito sembrerebbe non sospettare niente, finché svela i suoi piani a un vecchio compagno di università, commissionandogli l’omicidio della moglie. Tutto è stato studiato in ogni minimo dettaglio e la sicurezza del sign. Wendice convince l’amico, se non che qualcosa va storto…
Nei gialli, le cose vanno come vuole l’autore.
Nella vita reale, non succede mai.
Così afferma Mark, amante della signora Wendice e scrittore di gialli americano.
Niente di più vero. Il nostro protagonista scoprirà ben presto, a suoi danni, che nella vita reale niente è perfetto e che il suo tallone d’Achille è la superbia.
Nonostante ciò, l’aristocratico, meticoloso e geniale Tony Wendice si rivela il cattivo perfetto per Hitchcock. Già premio Oscar come miglior attore nel 1946, Ray Milland in questo ruolo dimostra di potersene meritare un altro, ma questo non avviene.
E’ straordinaria la cura della narrazione: nella prima parte la tipica suspence d’impronta hitchcockiana regna sovrana e tutto è capovolto. Il film, infatti, è girato in modo che il pubblico si identifichi non nella vittima, bensì nella mente criminale. Mentre nella seconda parte lo spettatore invece che tifare Tony Wendice, parteggia per l’ispettore di polizia e il tema di base è il mistero da svelare.
La critica
Il film piacque molto alla critica dell’epoca, sebbene lo stesso Hitchcock, in una conferenza stampa, disse ai giornalisti che considerava questo film uno dei suoi peggiori, perché il successo era scontato. Ma chi era presente sentì in quella dichiarazione un tono ironico. Sì, il film fu girato in poco tempo e non gli offriva molta possibilità di spazio essendo ambientato quasi interamente in un appartamento, ma era proprio questo il punto. E’ da questo limite che si dimostra la maestria di Hitchcock: per tutto il corso della pellicola non si ha senso di claustrofobia, anzi non si vuole uscire di lì! Si vuole vedere cosa succede, dove stanno gli oggetti, come i personaggi si muovono e interagiscono tra loro. Una regia fatta ad arte, ma d’altronde stiamo parlando del Maestro!
Come un asino
Desidero ardentemente mostrarvi questo fotogramma di immane bellezza.
Il personaggio in questione è l’amico di vecchia data del sign. Wendice e siamo nell’appartamento di quest’ultimo. Il sign. Swann è in piedi tra due poltrone e ha lo sguardo rivolto verso quella che ospita l’anticipo in contanti per i suoi servigi da killer.
Cos’ha di particolare quest’immagine? Niente se non è accompagnata da una frase che poco prima dice Tony Wendice.
– Perché sai che accetterò?
– Per lo stesso motivo per cui un asino con un bastone dietro e una carota davanti va sempre avanti e non indietro.
Ora la genialità di questo quadretto prende senso, vero? Il bastone, l’asino e la carota.
Conclusioni
Per concludere lascio tre voci ricorrenti nella filmografia di Alfred Hitchcock.
La comparsa del Maestro/cameo. In questo film troverete il vecchio Alfred in una foto di vecchi compagni di università.
La bionda virginale. La dea di questa pellicola è la bellissima e bravissima Grace Kelly, al suo primo film con Hitchcok.
Il MacGuffin. Come può mancare questa voce in una nostra recensione? Se in Psycho l’oggetto attorno al quale gira la vicenda sono la busta coi soldi, ne Il delitto perfetto è la chiave di casa.
E se dopo tutte queste parole sul film vi state ancora chiedendo qual è il delitto perfetto?
La risposta è semplice: non guardarlo!