
Horse Girl: Netflix, stavolta hai toppato!
L’arte di confondere lo spettatore
Sotto l’ala protettrice di Netflix, Jeff Baena ha dato i natali a quello che avrebbe potuto essere un interessante film sulle turbe della mente. Horse girl è forse un “wannabe psychologic movie”: vorrebbe essere uno strumento di indagine della psicosi, ma finisce con il presentarsi come un potpourri di cliché deliranti.
Sarah, interpretata da una bravissima Alison Brie, è una ragazza dalla vita modesta, amante dell’arte e innamorata della sua cavalla. In lutto per la recente scomparsa della madre e sconvolta dall’incidente della sua amica, la giovane donna prova a condurre la sua banale ma rassicurante vita. Tra il lavoro in un negozio di artigianato e i pomeriggi al maneggio ad osservare le lezioni della sua Willow, la routine di Sarah viene inizialmente spezzata da episodi di sonnambulismo e vuoti di memoria.
Più i suoi blackout aumentano, più la fantasia di Sarah cerca di dare una spiegazione a questi malesseri.
Viene sin da subito spiegato che la nonna della nostra protagonista era matta e che la madre, invece, si è tolta la vita perché sconfitta dalla depressione.
Sarah, a causa della serie tv crime-fantasy che ama e per colpa di alcune ricerche su internet, si convince sempre di più che le visioni, i sogni vividi e le esperienze paranormali di cui è progressivamente vittima sono frutto di un rapimento alieno e di una possibile clonazione con la sua altrettanto psicotica nonna.
Netflix, ci hai provato ma…
Il film subito cerca (invano) di creare confusione nel suo spettatore, con una fotografia grigia e un’attenzione nell’abbigliamento e negli oggetti di scena di gusto anni ’80-’90. Facile pensare che la presenza proprio della Brie non sia un totale caso fortuito (oltre al fatto che ne è la produttrice), dato che è protagonista della famosissima serie netflixiana Glow, ambientata nei favolosi 80s.
Ci accorgiamo, però, che siamo ai giorni nostri quando la protagonista guarda su un tv a schermo piatto Purgatory. Una serie di fantasia a metà strada tra CSI e Fringe, con i reali protagonisti di The Mentalist Robin Tunney, e di Criminal Minds Matthew Gray Gluber.
Dal momento in cui la tv e il web le mettono la pulce nell’orecchio, i sogni e le visioni, si fondono con la quotidianità. Sarah deduce, come unica spiegazione a questa confusione, la sola soluzione del soprannaturale.
Di fatto Horse Girl non ha una fine (come la pazzia non può averne una), ma neanche un reale filo conduttore in questa labirintica sequenza di episodi allucinanti. Lo spettatore poteva immergersi con Sarah nella sua follia, ma la velocità del suo convincimento in qualcosa di sovrumano è surreale anche per un pazzo.
Una persona con gli scompensi mentali di Sarah non si convince in un solo pomeriggio di click compulsivi online di essere “abducted”. Inoltre, il singolo fatto di conoscere un ragazzo omonimo del character del suo Purgatory non può innescare la miccia di confabulazioni di ogni sorte.
Interessante però il tentativo di istillare il dubbio, facendo vedere ai personaggi, diciamo, “mentalmente normali”, le bizzarre sovrapposizioni temporali che perseguitano la nostra protagonista.