
Howard e il destino del brutto: paperi & nostalgia
Anno del Signore 1986: i Queen si esibiscono per l’ultima volta dal vivo con Freddy Mercury, Madonna fa uscire True Blue, Stephen King pubblica It, io compio un anno, e George Lucas decide che produrre un film tratto dal fumetto Marvel Howard the Duck è una buona idea. Cazzata. Sarà il primo ad ammetterlo, col senno del poi.
Howard e il destino del mondo (Willard Huyck) viene scrupolosamente registrato in VHS alla prima messa in onda televisiva, un paio d’anni dopo, e diventa uno dei film preferiti di me 3-4enne. È la cassetta su cui ho imparato a FFWare la pubblicità (se siete nati dopo il 1995 non sapete di cosa sto parlando, immagino). La trama mi vergogno quasi a raccontarla: Howard è un papero alieno, che vive in un pianeta di paperi. È un tipo tranquillo: casa, lavoro, relax, drinkettino, pugnette su PlayDuck. Una sera come tante viene risucchiato attraverso anni luce di spazio e piomba sulla Terra, con tutta la poltrona, per colpa di un esperimento scientifico terrestre fallito.

Vuole disperatamente tornarsene a casa e fuggire da questo pianeta orribile di scimmie senza peli, ma conosce Beverly, sgualdrinella cantante so ’80s che a quattro anni sembrava figa pure a me (è Lea Thompson, la Lorraine di Ritorno al futuro, con una cotonatura improbabile), e s’innamora. Nel frattempo il cervello di un geniale scienziato viene controllato dagli “Occulti”, un’altra specie aliena supercattiva che vuole conquistare il mondo: l’unico modo per sventare la catastrofe è distruggere la macchina che li porterebbe sulla Terra, la stessa macchina che consentirebbe ad Howard di tornare a casa. E così via.
Per la rubrica “ruoli improbabili”, lo scienziato cattivo è interpretato da Jeffrey Jones. Che giusto l’anno prima aveva vestito i panni incipriati di Giuseppe II in quel capolavoro che è Amadeus di Miloš Forman – e che probabilmente aveva un bisogno di soldi disperato, nel 1986. Nel cast figura anche un imberbe Tim Robbins, ancora in una galassia lontana lontana rispetto all’Oscar di Mystic River.

Howard e le figure di merda
Il fatto è questo, cari, appuntiti, lettori: con l’occhio innocente dei miei quattro anni Howard e il destino del mondo era un capolavoro assoluto. Un tripudio di effetti speciali. Una storia eccezionale, con personaggi mirabolanti. Una messa in scena sublime, ricca di dettagli gustosi. Era uno dei miei film preferiti, insieme a quell’altra cafonata di Dick Tracy, e ai Ghostbuster.
Bene, sono rimasta forte di questa convinzione fino a qualche anno fa, quando ho avuto la malaugurata idea di farlo vedere a un amico: “no ma non puoi capire. Film totale della mia infanzia. Figata. Roba al livello di Indiana Jones, però coi paperi alieni, qualità, eh? Film di Lucas. Qualità.”
Dopo circa mezz’ora di proiezione il mio amico ha esordito con un fantozziano: “a me veramente ‘sto film sembra una cagata pazzesca.” Ho provato a difendere l’indifendibile. Ho provato col classico “no ma aspetta, poi diventa bello.” Ho provato a fingermi morta. A nulla sono valsi i miei sforzi: Howard e il destino del mondo era effettivamente una cagata pazzesca, da imbarazzo a proporlo.

Il costume di Howard sembra uscito dal Muppet Show. La trama fantascientifica è al livello di Plan 9 From Outer Space. Gli attori danno una magistrale prova di canismo, gli effetti speciali fanno tanto glitter sulla bacheca Facebook di un cinquantenne, e vorrei stendere un pietoso velo sulla scena finale della canzone (che tanto me la faceva salire a quattro anni).
Però sono qui a parlarvi di questo film di merda su TheMacGuffin, a tre decenni dalla sua uscita, e con la ferrea convinzione che leggere un articolo sull’argomento interesserà a qualcuno. Perché mai?
Perché è, a suo modo, un film-manifesto di innocenza: lontano anni luce dalla CGI, da qualsiasi pretesa di realismo, il salotto di Howard sul Pianeta dei Paperi è ancora capace di incantarci, con i piccoli dettagli d’arredamento a tema. E quella storia d’amore intergalattica così improbabile riesce a farci tornare bambini. Sempre che anche voi foste bambini un po’ deviati.