Film

I cento passi, si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore!

Parto dalla canzone dei Modena City Ramblers per introdurre l’argomento, che se non siete vissuti su Marte negli ultimi 18 anni è assai facilmente intuibile: I cento passi, diretto da Marco Tullio Giordana nell’ormai lontano 2000.

Ammettiamolo: non fosse stato per questo film la storia di Peppino Impastato non ce la saremmo filata granché, anzi, probabilmente sarebbe sconosciuta ai più. Per quanto mi riguarda, una volta scoperta la vicenda, entrai in un periodo di loop assoluto, tanto da trascinare i miei genitori a Cinisi un 26 dicembre di qualche anno fa. Proprio perché non sono una che non s’immedesima, eh.

Sull’onda dell’emozione, dopo aver incontrato le nipoti di Peppino (che non l’hanno mai conosciuto ma ne parlano con un orgoglio commovente) e aspettato invano di incontrare il fratello, ho percorso tremante i 100 passi che separano la casa degli Impastato da quella di Gaetano Badalamenti: 120. Avrò contato male.

Peppino Impastato/Luigi Lo Cascio, giornalista e attivista PC, appartiene a una nota famiglia mafiosa di Cinisi.

Dopo aver assistito, da bambino, al barbaro omicidio dello zio, ha deciso di combattere la cosca locale, capeggiata da Tano Badalamenti/Tony Sperandeo, entrando quindi in contrasto con il padre, Luigi/Luigi Maria Burruano.

Con l’aiuto del fratello, Giovanni/Paolo Briguglia, e degli amici, Peppino fonda e dirige un’emittente radiofonica, Radio Aut, con la quale prende in giro i mafiosi e ne denuncia i misfatti.

Pur consapevole di correre un grande pericolo, il giovane si candida alle elezioni comunali per «marcarli stretti, farli rigare dritti» ma questa decisione non piace affatto a “Tano Seduto”, la cui rappresaglia non si fa attendere.

Marco Tullio Giordana non è nuovo al cosiddetto cinema civile, se accettiamo questa definizione, che personalmente trovo ambigua: con I cento passi, a differenza dei suoi film successivi, quali La meglio gioventù e Romanzo di una strage, che affrontano temi di ampio respiro, sceglie di soffermarsi su una storia più circoscritta, un episodio poco noto, per spiegare l’Italia degli anni ’70.

Peppino viene ucciso il 9 maggio 1978, giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro; la sua morte passò quindi sotto silenzio, e Giordana ha senz’altro il merito di riportare alla luce una vicenda che deve essere conosciuta.

Del protagonista colpiscono l’umorismo e l’ironia, che sono strumenti essenziali della sua lotta. Ovviamente non è sempre così positivo, sa benissimo quale pericolo stia correndo: Luigi Lo Cascio (La meglio gioventù, Buongiorno, notte), al suo esordio al cinema, alterna meravigliosamente il Peppino divertente a quello drammatico.

Piace tantissimo anche Tony Sperandeo, nei panni di un impassibile mafioso al quale si contrappone Luigi Maria Burruano, affiliato sì, ma soprattutto padre in ambasce per quel figlio che non capisce ma che cerca di proteggere strenuamente.

Altra figura molto interessante, la mamma Felicia, interpretata da Lucia Sardo, la prima a emanciparsi, perlomeno moralmente, dall’ambiente in cui è cresciuta ed è anche la prima a comprendere (e ad appoggiare) la ribellione del primogenito.

Una parola sulla colonna sonora, che attinge a piene mani dal repertorio pop-rock dell’epoca: gli Animals, i Procol Harum, Janis Joplin. Musica ribelle per un rivoluzionario, verrebbe da dire.

Si ride molto di più di quanto si pensi per un film drammatico, strano a dirsi. Perché Peppino fa ridere e soprattutto ridicolizza i grandi capi che tengono in mano la città, parodiandoli, mostrando alla gente la loro piccolezza.

Noi sappiamo che l’epilogo è tragico ma, dopo le prime lacrime, il messaggio di speranza arriva, forte e chiaro.

«Peppino è vivo e lotta insieme a noi!»

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
Back to top button