Film

I diari della motocicletta, storia di un rivoluzionario on the road

Jack Kerouak, Christopher McCandless, Thelma & Louise… Il tema del viaggio affascina da sempre letteratura e cinema. I diari della motocicletta (2004) parla appunto di questo, di un road trip attraverso l’America Latina. Ed è una storia vera, narrata in Latinoamericana, diario di Ernesto Guevara de la Serna, argentino.

Eh, già. La maggior parte di noi lo conosce come il el Che ma prima di diventare Guerrillero Heroico era solo Fuser, il Furibondo Serna, che, tra un attacco d’asma e l’altro, giocava a rugby, studiava Medicina e recitava a memoria Neruda e Garcìa Lorca.

Il Che è un personaggio controverso, lo si giudica spesso in base al colore politico di appartenenza. Ma qui il rivoluzionario è ancora allo stadio embrionale, per ora c’è solo un ragazzo che, accompagnato dal migliore amico, decide di prendersi un anno sabbatico e girare il proprio Paese, lontana da quella gabbia dorata che è la vita di una famiglia dell’alta borghesia.

Per chi se lo stesse chiedendo, sì, anche questo film l’ho visto per la prima volta con mia madre, da sempre affascinata dalla figura del protagonista e dal Sud America. E l’abbiamo adorato.

1951: Ernesto/Gael García Bernal, ventiduenne studente di Medicina, decide prendersi una pausa dall’università e intraprendere, con l’amico Alberto/Rodrigo de la Serna, biochimico, un lungo viaggio attraverso il Sud America, in sella a “la Poderosa”, una Norton 500 M18 del 1939 «che cade a pezzi e perde olio».

Obiettivo finale è il lebbrosario di San Pablo, in Perù: Ernesto si sta appunto specializzando su questa malattia. Altre tappe fondamentali sono Miramar, dove abita la fidanzata Chichina/Mìa Maestro e il sito archeologico di Machu Picchu. 

Tra imprevisti di varia natura, condizioni meteorologiche avverse e discussioni, la povertà della popolazione si palesa chiaramente ai due giovani, facendo nascere nel futuro rivoluzionario il desiderio di realizzare un mondo più giusto.

Dieci motivi per vedere questo film:

1) La fotografia: paesaggi pazzeschi ma non quelli che posteresti su Instagram con una marea di filtri, gli scenari naturali appaiono sullo schermo così come sono, rigogliosi, brulli, ameni o inospitali. La Natura è la terza grande protagonista, anzi, dirige proprio i giochi, i nostri bellocci ne sono alla mercé.

2) La colonna sonoraAl otro lado del Río, si è aggiudicato il premio Oscar alla Miglior Canzone, primo brano in lingua spagnola a ottenere tale riconoscimento.

3) I battibecchi tra Ernesto e Alberto che costellano più o meno tutto il viaggio, testardo ed impulsivo il primo, razionale e diplomatico il secondo: baruffano, urlano, si menano e poi ecco che tornano a fare i piccioncini.

4) Alberto l’Eterno Ingrifato: per lui le bellezze naturali non sono quelle paesaggistiche, e l’ospitalità dei Paesi visitati si giudica ovviamente in base alla facilità a concedersi delle autoctone. Vorrebbe farsi tutto il Sud America, bisogna vedere se ci riuscirà.

5) La storia d’amore tra Ernesto e Chichina, malvista dai genitori di lei che si ostinano a tenerli in camere separate, nonostante la bimba non veda l’ora di «farsi cogliere». E lui che tenta di ingraziarsi il parentado, con scarsissimo successo.

6) Gael García Bernal. Non ho bisogno di aggiungere altro, le donne mi capiranno. Ma quegli occhioni? – non smetterei mai di rimirarli, scusate.

7) La Poderosa, figlia, sorella e fidanzata di Alberto. Praticamente un rudere, più che trasportare, viene trasportata. Ma quando funziona, funziona alla grande. E poi schioppa di nuovo, croce e delizia.

8) Machu Picchu, «si può aver nostalgia di un mondo che non hai mai conosciuto?», si chiede Ernesto, mentre visita il sito archeologico. Data la bellezza del luogo, l’unica risposta possibile è sì.

9) Gli autoctoni. Paese che vai, usanze che trovi. I due viaggiatori vengono accolti nei modi più disparati, a braccia aperte da uno, a pedate dall’altro. Tema fondamentale del film è il dialogo con la popolazione, in genere poverissima, condizione che smuove il cuore del giovane rivoluzionario, insofferente alle ingiustizie per natura.

Questo è solo il preludio, il resto è la Storia a raccontarcelo.

10) Gael García Bernal. Ah ok, l’ho già detto. Ma Paganini stavolta ripete.

Io amo alla follia i biopic, e questo lascia davvero il segno.

Unico neo, neanche tanto piccolo: l’immagine del Che ne esce un tantino troppo edulcorata, tanto che viene da chiedersi se San Francesco non sia stato trasportato nel XX secolo.

Il santino viene compensato dall’ironia di Alberto che certamente ammira questo lato del suo amico ma non sembra prenderlo troppo sul serio, anzi, spesso gli affibbia l’etichetta di scassa cazzi. Pareggiamo, va’.

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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