
I due papi: Il confronto come strumento di salvezza
Siamo a Roma, nell’aprile del 2005. Papa Giovanni Paolo II è morto e i cardinali si sono riuniti per eleggerne il successore. I due candidati in testa sono il tedesco più oscurantista e conservatore Joseph Ratzinger (Anthony Hopkins) e l’argentino di formazione gesuita Jorge Mario Bergoglio (Jonathan Pryce), impetuoso, giovanile, meno ortodosso: la scelta del conclave cadrà su Ratzinger, che nei successivi anni si troverà ad affrontare gravi scandali e la progressiva perdita di fedeli. Nel frattempo Bergoglio è tornato a Buenos Aires, ma nel 2012 si ripresenta a Benedetto XVI per avanzare le proprie dimissioni dalla carica di cardinale, inconsapevole che a sua volta lo stesso pontefice ha intenzione di prosciogliersi dai suoi doveri in Vaticano.
Questa è l’arcinota trama di I due papi, il film dal taglio da docu-fiction con cui Netflix racconta un momento chiave nella storia della chiesa. Già dal primo atto, il regista Fernando Meirelles detta le sue regole stilistiche, preferendo una narrazione più accattivante e vivace (per quanto riflessiva) all’austerità di un intreccio storiografico didascalico. I due papi è un film delizioso e frizzante, pieno di bellissime intuizioni registiche, aggraziato, a tratti inaspettatamente divertente ma rispettoso dei fatti, splendidamente introdotto con un conclave iniziale scandito da un montaggio ritmato e dalle note di Dancing Queen degli ABBA. Già con The Crown Netflix ci aveva abituati alla riproposizione audiovisiva di eventi fondamentali della storia recente, ma mai lo aveva fatto in maniera così emozionante ed esteticamente curata.
Adattamento di una pièce teatrale dello sceneggiatore di Bohemian Rhapsody Anthony McCarten, il film trova la sua chiave di volta proprio nella scrittura dei lunghi dialoghi, siano essi accesi confronti teologici o più distese e goliardiche chiaccherate tra i due protagonisti. Molti elementi della narrazione, tra cui il lungo flashback presente nel secondo atto, lasciano intuire che la posizione ideologica del film si schiera molto più dalla parte di Bergoglio/Francesco, ma lo scontro dialettico sul dogma è sempre incalzante, riuscendo a interessare persino i non credenti o chi è digiuno di questi argomenti, e colpisce inoltre il modo in cui l’approccio dei due papi alla Chiesa venga esemplificato persino da azioni semplici e irrilevanti come mangiare una pizza.
Essendo I due papi un fiume di parole di circa due ore, era necessario che i ruoli principali venissero coperti da interpreti che sapessero reggere il tutto senza appesantirlo. I somigliantissimi Hopkins e Pryce hanno svolto un lavoro cristallino e non privo di preziosa ironia, replicando movenze e parlata dei veri Ratzinger e Bergoglio con una precisione che ammalia e commuove. Mano a mano che il film avanza verso la sua conclusione, la ricerca di compromessi tra le loro concezioni della fede fluisce in reciproca confessione e remissione dei peccati, e svela tutte le fragilità e i dubbi dei “Vicari di Cristo”. Certo, c’è molta speculazione su ciò che Ratzinger e Bergoglio possano essersi detti durante i loro incontri a Castel Gandolfo, eppure è facile immaginare che ciò che gli autori ci mostrano non sia poi così lontano dalla verità.
Tecnicamente parlando, I due papi è una bomba atomica. Meirelles sperimenta con l’ibridazione di finzione e immagini di repertorio, abbonda di inquadrature oblique in stile documentaristico, dà un’importanza quasi ritrattistica al primo piano, fa un uso mastodontico e maniacale del green screen e delle scenografie (reali e ricostruite) per rievocare la sontuosa potenza dei locali vaticani… Qualcuno potrebbe lamentare il montaggio serrato da videoclip o la sovraesposizione delle immagini che mette in risalto tutti gli elementi delle scene, ma si tratta di una consapevole scelta artistica che in realtà nulla toglie all’eleganza formale.
Candidato in numerose categorie ai Golden Globes e agli Oscar 2019, I due papi è passato un po’ inosservato rispetto ad altri filmoni immani usciti in quell’anno come Joker o Once Upon a Time… in Hollywood. Un vero peccato, perché ci troviamo davanti ad uno spaccato storico che parla di dolcezza dei ricordi e abbattimento dei muri, che rivendica l’importanza del confronto intellettuale come strumento di salvezza, di miglioramento di noi stessi.