
I Kill Giants: timori e rituali unici
La protagonista di I Kill Giants, il film diretto da Anders Walter tratto dal fumetto omonimo di Joe Kelly e J. M. Ken Niimura uscito qualche mese fa su Netflix, ci incastra subito nel suo mondo: orecchie da coniglio in onore del suo animale guida, nascondigli segreti, trappole caute ma precise, soprattutto efficienti, fatte di glitter e orsetti gommosi. Barbara (Madison Wolfe) è una dodicenne solitaria (“come sempre”, direte), che vive con il fratello e la sorella in una casa caotica, dove è chiaro fin da subito che c’è qualcosa che non va, ma questo è solo un dettaglio. Il caos famigliare, il fatto che Barbara venga bullizzata quasi ogni giorno, tutto è subito messo da parte, o meglio nascosto, dalla sua principale occupazione, la caccia ai giganti. I giganti, creature che risalgono ai titani che all’aspetto ricordano i kaiju, come Barbara racconta alla nuova arrivata Sophia (Sidney Wade) minacciano costantemente la sua cittadina che se non fosse per lei sarebbe già distrutta, affondata, i suoi abitanti morti e sepolti da un pezzo.
Dico che tutto il resto è nascosto perché proprio questo è il nodo d’acciaio della pellicola, la chiave, ma a questo ci arriverete da soli. Tutta la realtà infatti, routine, parole, relazioni, è infettata dal realismo incantato di Barbara, dai suoi rituali perfetti e dai suoi piani che fanno uso ancora una volta di magia e incantesimi di vario tipo: rune, pozioni, nozioni essenziali ricavate da leggende.
Tutto questo ci mette a nostro agio: dobbiamo fare questo, sta arrivando quest’altro. Molto bene, siamo pronti. Così anche lo spettatore prova imbarazzo e dispiacere per la consulente scolastica (Zoe Saldana) che si ritrova ad affrontare Barbara.
Perché è chiaro che c’è qualcosa che non va, ma non siamo in grado di scoprire di cosa si tratti, mentre condividiamo con Barbara il problema riguardo se e come affrontarlo. La osserviamo mentre piazza trappole e aspettiamo che ci venga svelato il secondo segreto. Perché se il primo segreto è il suo “lavoro” come giant-slayer è chiaro che Barbara sta affrontando qualcos’altro.
Il punto per cui questo film merita una visione sta proprio qui.
Questo qualcosa che affligge Barbara non è più o meno reale dell’affrontare giganti, anzi; quando ci verrà finalmente rivelato (anche se lo spettatore ci sarà arrivato da solo, forse ci arriverà anche con questa recensione malgrado mi ostini a girare intorno alla questione per ovviare il sano problema spoiler) ciò che vedremo sarà cento volte peggiore di un gigante arrabbiato, ma non perché più vero, ma perché più inadeguato, sbagliato, e Barbara non ha nessun martello incantato in quel caso.
Il secondo punto, forse ancora più importante del primo, è che questa realtà pesante affrontata con ogni mezzo possibile, amici o martelli magici, parole, parenti o rune, è solo di Barbara. I Kill Giants non è un film su come affrontare il dolore, ma su come lo affronta Barbara. La sua distruzione e la sua rabbia sono solo sue, i giganti sono suoi. La personificazione della paura, il gestirla tramite l’immaginazione è sicuramente cosa già vista, ma il nocciolo della questione sta proprio nel fatto che questi rituali così specifici così come questi titani maestosi appartengono a un regno che si è rivelato solo a Barbara e solo lei forse è capace di affrontarlo, grazie a un coraggio tenuto insieme da un pragmatismo e da una parlantina eccezionali.
Noi non possiamo che assistere alla sua ossessione, maestosa, come questa cresce o evolve, per poi guardare di nuovo il film, perché sì, I Kill Giants è uno di quei film che si guarda ancora e ancora.