Film

Il collezionista di carte, o di Paul Schrader che non è andato fino in fondo

Ebbene, siamo di nuovo qui. Anche quest’anno seguo con ardore un festival che mi ha sempre fatto sognare: il Festival di Venezia, oggi alla sua 78ª edizione. In concorso vi troviamo, tra gli altri, Il collezionista di carte (o The Card Counter seguendo il titolo originale che ha molto più senso). Si tratta di una pellicola di nientepopodimeno che di Paul Schrader, un individuo che sceneggiò un certo filmettino, detto Taxi Driver, insieme a un certo regista di nome Martin Scorsese. Insomma, roba da poco.

Dopo averci lasciati nel 2017 con First Reformed, Schrader torna alla ribalta con la sua nuova opera, prodotta dal suo caro Martin. Vincerà questo Leone d’oro? Mmh, non ne sono troppo convinta.

il collezionista di carte

Cominciamo col dire che anche se Il collezionista di carte non dovesse vincere, il suo attore protagonista, Oscar Isaac, ha altre chicche che lo metteranno sotto i riflettori. C’è davvero l’imbarazzo della scelta. Innanzitutto comparirà in Dune, atteso che più atteso non si può, del sommo e magnifico Denis Villeneuve. In più il signore qua sopra attoreggia anche nella miniserie Scene da un matrimonio insieme a (quella gran figa e bravissima di) Jessica Chastain. E se qualcuno se lo stesse chiedendo sì, si tratta del remake della serie creata da Ingmar Bergman. Abbiam capito che di carne al fuoco ce n’è abbastanza.

Sì ma quindi? Arriviamo al punto.

Mi sono recata al cinema con delle very very high hopes per questo film, che però non sono state del tutto soddisfatte. Non voglio dire che sia brutto o che sia fatto male, ma semplicemente che non ha la giusta carica, rimane un po’ lì. Della serie “sì, ma quindi?”. È un’opera che sembra non centrare troppo il punto, e in cui la sceneggiatura è il problema principale.

il collezionista di carte

Il protagonista, William “Tell” Tillich, è, come la maggior parte dei personaggi di Schrader, un individuo afflitto da un enorme senso di colpa, che cerca o ha cercato di redimersi. La caratteristica principale di questi personaggi? La solitudine. Ricorderete tutti perfettamente quanto Robert De Niro, nei panni del tassista Travis Bickle, fosse un reietto, un uomo solo e incapace di relazionarsi con il mondo e le persone intorno a sé. Ecco. William ne Il collezionista di carte è molto simile. Si sposta sempre per conto suo, non socializza quasi per niente e non instaura particolari legami con nessuno. Vive praticamente solo di notte nei casinò e cerca di non lasciare mai traccia di sé. Ci sono solo due cose con cui ha un rapporto duraturo e continuativo: il suo diario e il whisky.

Tutto questo muta quando si trova davanti la possibilità di espiare le proprie colpe, o forse solamente di trovare un po’ di pace facendo una buona azione. Questa possibilità è incarnata in Cirk (personaggio abbastanza piatto, il cui attore non spicca particolarmente), un giovane in cerca di vendetta a causa del passato del padre. William decide così di prenderlo sotto la sua ala per portarlo sulla retta via, facendogli capire che è meglio dimenticare piuttosto che versare altro sangue per compensare quello già sparso.

E qui incappiamo in quello che secondo me è il primo problemuccio. Come mai William esprime tutto questo attaccamento verso Cirk? Come mai sceglie di partecipare a grossi tornei di poker per poter ripagare i debiti del ragazzo? E perché vuole farlo ricongiungere a tutti i costi con la madre che, scusate il francese, ma è stata un po’ na stronza? Certo, la risposta potrei averla data qua sopra, dicendo che forse cercava solo di “salvare” qualcuno per sentirsi meglio anche con se stesso. Però allora manca un pezzetto. Non è abbastanza approfondito questo legame.

Una caratteristica de Il collezionista di carte è infatti l’assenza di emozioni. C’è una quasi totale apatia nella maggior parte dei personaggi, accentuata da una regia fredda e da una macchina da presa che mette una sorta di distanza di sicurezza tra personaggi e spettatore. E questo ha perfettamente senso per il tipo di storia e di protagonista messi in scena. Però c’è bisogno di percepire anche solo un pizzico di sentimento per poter capire il legame fra i due, che così sembra un po’ ingiustificato.

cirk

Altro elemento su cui mi aspettavo si spingesse di più sono le carte. Insomma, ci sarà un motivo se un film si chiama Il collezionista di carte no? Che poi ripeto, il titolo italiano non ha nessun senso in relazione alla trama, mentre The Card Counter sì. Ma comunque. Il fatto è che dato che sto benedetto personaggio dovrebbe essere uno che conta le carte, ci si aspetta chissà che. Uno giustamente si immagina che vengano fatti vedere trucchi e mica trucchi a poker o a black jack. Invece il tutto si riassume in: “Come fai a vincere sempre?” “Beh, io conto le carte”. Ah, allora scusa. Sì perché ovviamente William vince sempre.

Non so, volevo di più. Sarò ingorda ma volevo di più. Cioè non che mi aspettassi che rimanesse invischiato coi soldi. Sarebbe stato fin troppo scontato. Però dai.

Per quanto riguarda invece il passato tormentato del protagonista, lo vediamo riassunto con dei flashback, registrati con il fish-eye, un obiettivo ultragrandangolare che ci permette di vedere un’ampia porzione di spazio. Come i pesci insomma. Si tratta di una scelta stilistica interessante, che ci mostra i vari peccati che William e i suoi colleghi soldati hanno commesso in un carcere ad Abu Ghraib diversi anni prima il presente filmico. Tra i presenti vi erano il padre di Cirk e il maggiore John Gordo, interpretato da Willem Dafoe. E qui arriviamo ad altri due punti un po’ deboli.

Innanzitutto Cirk non riesce a esprimere troppo bene questo suo incessante bisogno di vendetta. Se fosse stato così viscerale al punto da rischiare la sua vita, avrei voluto toccare con mano i suoi sentimenti e la sua mente angosciata. Invece no. Cerco vendetta e voglio ottenerla. Poi non se ne parla per un po’ e alla fine boom.

Altro elemento lasciato un po’ al caso è Gordo, personaggio per niente approfondito e che sembra essere più una macchietta piuttosto che il “”cattivo”” verso cui si cerca vendetta. In ogni caso, quest’ultima viene ottenuta, e vediamo William cadere proprio nello stesso meccanismo da cui aveva cercato di allontanare Cirk. Che ci sta, probabilmente è il giusto contrappasso per questo personaggio.

il collezionista di carte

Insomma, con Il collezionista di carte Schrader non è andato fino in fondo, ha lasciato qualche buchetto qua e là. Rimane comunque un buon film, che però credo che non vincerà proprio a causa di questi suoi punti deboli, i quali diminuiscono nettamente la potenza dell’opera.

Martina Catrambone

Affetta da cinefilia sin dalla nascita, cresciuta a suon di film e cartoni. Sono andata al cinema per la prima volta a quattro anni e da lì non ho più smesso. Mi faccio tanti film mentali e studio cinema per provare a fare film reali.
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