
Il corriere – Al cuore, Clint, al cuore, almeno un’ultima volta…
Clint Eastwood e il suo lunghissimo canto del cigno: Il corriere e molto altro
Unica cosa: non chiamiamolo The Mule perché, vista la mia età, non riesco a non pensare al celeberrimo eMule, sito di torrent con il quale molti di noi hanno, loro malgrado, visionato i tre quarti della cinematografia hard presente in rete.

Ispirandosi a una storia realmente accaduta, ovvero quella del veterano Leo Sharp (qui il reportage del New York Times), Eastwood ci racconta la vicenda di Earl, grande floricoltore, ma pessimo padre di famiglia, un uomo che per tutta la vita non ha fatto altro che anteporre se stesso e il suo lavoro a tutto il resto, forse perché il resto non gli bastava, forse perché le mura di casa lo facevano sentire prigioniero, forse perché nel suo mondo di fioristi lui piaceva a tutti e a Earl è sempre piaciuto piacere. Questo ce lo dice lui, direttamente e senza filtri, con la spietata sincerità che solo gli anziani senza più nulla da perdere – ipocrisie comprese – possono permettersi.
Persa la sua attività, persi i rapporti coi parenti, perso praticamente tutto, la vita serve a Earl una mano potenzialmente ricca, ma pericolosa: mettere al servizio del cartello messicano di Sinaloa la sua faccia da vecchietto simpatico e insospettabile viaggiando per l’Illinois con chili e chili di cocaina nel cassone del suo fedele pick-up. Earl accetta il rischio e tutto ciò che ne consegue con la leggerezza di un bambino, cercando di sfruttare le mazzette di dollari che guadagna per fare felici gli altri, usandole come toppe per una vita sfrangiata, lisa ed erosa dal suo egoismo, dall’incapacità di fermarsi ed esserci, dimostrarsi a disposizione delle persone care.
Nonostante molti abbiano criticato Il corriere, definendolo la brutta e inutile copia di Gran Torino, per certi tratti questo film e il suo protagonista ne sembrano addirittura la negazione: là dove Walt Kowalski si presentava come un burbero maestro di vita, solitario, granitico custode di valori e radici fieramente americani, Earl Stone è un egoista rassegnato a se stesso e ai propri difetti, tant’è che decide di cambiare vita e diventare corriere della droga proprio per non dover realmente cambiare e continuare a fare quello che aveva sempre fatto, cioè stare lontano da casa ed essere il re della festa. Anche a 90 anni. Anche rischiando ben più della galera. Ricucendo rapporti familiari col filo verde dei dollari.
Là dove Gran Torino era il racconto statico di un quartiere che ormai aveva perso se stesso e in cui il vecchio Kowalski rappresentava l’unico testimone di un mondo ormai scomparso, Il corriere è un film dinamico e, per certi versi, un vero e proprio road movie con punte di poliziesco (grazie al personaggio del qui incolore Bradley Cooper) in cui lunghe sequenze sono affidate alle traversate del Midwest americano, al blues e all’intrico rugoso che è il volto di un Eastwood che, nonostante gli 89 anni, non si rassegna a gettare la spugna.
Come nei suoi lavori più recenti (American Sniper; Sully e Ore 15:17 – Attacco al treno) Eastwood romanza un fatto di cronaca infilandoci dentro i suoi contenuti: il discorso sull’anzianità come catarsi (iniziato proprio con Gran Torino), l’importanza della famiglia e delle radici, il racconto di una certa America desolata e lasciata in mano a pazzi sanguinari, ma anche il racconto di una gioia di vivere che si può provare anche in età avanzata, anche dopo una vita perlopiù passata a badare a se stessi, al volante di un pick-up.
Il corriere non è altro che l’ennesima storia di redenzione che un regista leggendario decide di regalarci, raccontandoci un’anima lacerata con un film che riesce a essere anche leggero, dove c’è spazio per la risata. Non immaginate un film cupo e dolente, perché non lo è: anche di fronte alla tragedia il personaggio di Earl mostra la capacità di lasciarsi scivolare tutto addosso, rimanendo semplicemente se stesso e armandosi della corazza che è la vecchiaia. Come Eastwood, Earl è un uomo che non ha più nulla da perdere, nulla da dimostrare, che potrebbe godersi gli ultimi anni in pace, ma che invece non si arrende alla staticità e prova a rimediare agli sbagli nell’unico modo che conosce.
Se siete alla ricerca di capolavori allora probabilmente uscirete delusi dalla sala perché Il corriere non lo è. Ma dopotutto alla sua età Eastwood non ha più bisogno di capolavori: ciò di cui necessita è invece una telecamera, una sceneggiatura e la forza necessaria per sorreggere il peso straordinario di tutto il suo talento. La forza di chi si trova a valle lungo il fiume della vita, ma che lanciando sguardi nostalgici verso monte trova sempre qualcosa di nuovo da dire e da raccontare.
Quindi chissà che questo non sia ancora un addio, ma solo l’ennesimo colpo al cuore per gli spettatori.
Dopotutto ai colpi al cuore Eastwood – e noi con lui – ci è abituato.