
Il curioso caso di Benjamin Button
“…lo vedi al contrario ed è un film come un altro”.
Ho scelto di recensire questo film solo per dire questa frase, che in effetti riassume egregiamente il mio pensiero. Bravo Caparezza, brava me, sipario: alla prossima recensione!
Ehhh scherzone! Che birbante. A parte la mia verve burlona, oggi per l’appunto si parlerà de Il curioso caso di Benjamin Button, pluripremiato film del 2008 per la regia di David Fincher (Seven vi dice niente?). In questa pellicola in effetti c’erano i giusti fattori per invogliarmi alla visione: c’era la Cate, sempre una garanzia, c’era Brad, sempre figo, e soprattutto c’era Fincher alla regia, che in fondo dai, non è proprio l’ultimo stronzo arrivato.
Quindi grande entusiasmo, grandi aspettative, grandi cofane di gelato affogato al cioccolato ad accompagnare la visione… e poi niente, ho schiacciato un delicato pisolino a metà film. Il che per me di solito può avere tre significati: 1) sono beatamente accoccolata al mio ragazzo e il piacevole tepore ha la meglio su di me 2) sono troppo stanca 3) il film non ha quel nonsoché, non è necessariamente brutto, semplicemente non mi prende. E per quanto riguarda Il curioso caso di Benjamin Button temo valga l’ultimo caso.
Eppure la storia sembrava figa, piena di spunti interessanti e con un’enorme potenzialità narrativa. In una camera d’ospedale, la moribonda Daisy fa leggere alla figlia Caroline un diario scritto anni prima dall’amore della sua vita, Benjamin Button. Il nostro protagonista nasce vecchio in una New Orleans sconvolta dalla prima guerra mondiale, l’ultimo giorno del conflitto: “nasce vecchio”, significa che il bambino ha sì le dimensioni di un neonato, ma la salute di un novantenne, quindi con artrosi, sordità, cataratta e chi più ne ha più ne metta. Benjamin viene abbandonato e cresce in un ospizio, dove le sue condizioni di salute migliorano giorno dopo giorno. Tra i vari personaggi dell’ospizio, Benjamin fa la conoscenza di Daisy, la nipote di una delle anziane che alloggiano nella casa di riposo. Tra i due nasce subito un certo legame: la bambina si accorge che Benjamin non è un vecchio qualunque, che c’è qualcosa di speciale in lui. Il bambino (o il vecchietto, che dir si voglia) cresce in forze (o per meglio dire ringiovanisce) e all’età di diciassette anni salpa all’avventura sul rimorchiatore del capitano Clark.

Tutte le vicende che seguiranno saranno dedicate alla storia d’amore tra la Daisy cresciuta (eccola Cate Blanchett), ballerina dalla carriera stroncata, e Benjamin. Le loro età finalmente combaceranno e dalla loro storia nascerà Caroline. Benjamin però si allontana dalla famiglia per non dare a Caroline un futuro padre-bambino eeeeee… niente ragazzi, la storia è tutta qui.
In molti hanno paragonato questo film a Forrest Gump… ma de che? Ma dove? L’unica cosa in comune è in effetti la struttura, il voler rivivere tutto il Novecento con gli occhi di un personaggio. Ma, a differenza di Forrest Gump, Benjamin Button non ci fa rivivere un’emerita pippa a mio avviso. Il film parla della sua vita, punto. Il resto è puro sfondo. Ed è proprio qui che viene fuori il limite del film.
Non ci sarebbe nulla di male a voler raccontare la storia di questo povero Cristo condannato a dormire in culla con i reumatismi e a soffrire di demenza senile con le sembianze di un lattante. Anzi, figo cazzo, è il motivo per cui mi metto davanti allo schermo. Ma, ma, ma… non si va oltre quello! C’è lo spazio per riflettere sulla vita, c’è lo spazio per l’amore, c’è lo spazio per aneddoti avventurosi ed intriganti, c’è lo spazio per TUTTO (visto anche che il film dura due ore e quaranta). Ma tutti i temi sono trattati superficialmente, in modo un po’ banalotto e prevedibile, ed è tutto molto decontestualizzato: lo “spirito della storia” è un simpatico background alle vicende dei personaggi, senza avere un gran peso nelle loro vite. Può piacere anche così, ma mi tengo Forrest Gump.
Nel complesso, non lo si può definire un film brutto. Ha i suoi pregi: tre Oscar (!!!) alla miglior scenografia, miglior trucco e migliori effetti speciali, più trilioni di Nomination. Incredibile la tecnica di invecchiamento e ringiovanimento di Brad Pitt, che è sempre credibile a tutte le età ed è sempre lo stesso Brad Pitt, ottenuta tramite tecniche digitali super innovative. Ciononostante, per le grandi aspettative che mi ero fatta, sono rimasta un po’ delusa.
Carina la storia (tratta tra l’altro da una novella di Francis Scott Fitzgerald), bravi gli attori, ma niente di stupefacente. Non riesco a capacitarmi di come abbia potuto vincere così tanto in realtà. Forse verrò linciata dal popolo del buongusto cinematografico affermando che è palloso e banale, orbene rischio e affermo: Il curioso caso di Benjamin Button è una gran palla. E, superata la figata del giovane-vecchio, non è neanche tutta questa gran originalità. Fincher se la poteva giocare molto meglio.