Film

Il diritto di contare: il diritto di essere donne

Il diritto di contare e il dovere di non soffermarsi sul colore della pelle.

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Katherine, Mary e Dorothy sono amiche e sono nere. Lavorano alla NASA ma, ehi, sono gli anni ’60 quindi devono stare ben nascoste nell’ala ovest dell’edificio a contare numeri per gli ingegneri bianchi. Hanno il loro bagni (colored toilet), le loro fontanelle, i loro sedili sugli autobus; la loro forza lavoro, inoltre, è considerata variabile e flessibile a seconda delle giornaliere necessità dei piani alti. I colleghi not colored li disprezzano in maniera più o meno visibile.

Il diritto di contare racconta infatti le vicissitudini (piuttosto attuali se uno si sofferma sui recenti telegiornali, ma non facciamo cronaca d’attualità) delle donne, delle donne nere, che cercano di farsi strada nell’America segregazionista dell’allunaggio. Non basta essere sveglia, capace e brillante: se sei donna e afroamericana, non potrai mai diventare ingegnere, supervisore o responsabile delle traiettorie dei voli orbitali.

dirittoEppure grazie a doti di tenacia e innegabile intelligenza (grazie a un libro sul computing una di loro riuscirà a programmare perfettamente un calcolatore IBM, per dire, e io ancora non so registrare un film in tv, sempre per dire), queste tre donne stupende riusciranno a rompere le barriere di colore per spiccare al di là del sesso e della razza. E a mandare John Glenn in orbita attorno alla Terra. Bisogna essere brillanti per farsi notare, bisogna essere più forti, più risolute. Bisogna essere disposte a battersi per vincere le ritrosie e le discriminazioni, che si manifestano nell’impossibilità di frequentare un corso serale (solo per bianchi) o nella caffettiera “speciale” solo per neri, ma che feriscono sempre e comunque.

Il diritto di contare emoziona ancora di più quando poi si scopre che è tutto vero, e nei titoli di coda vediamo i volti sorridenti e invecchiati delle tre hidden figures (titolo originale del film), le figure nascoste che con il loro valore hanno permesso alla NASA di fare quello che ha fatto: scrivere la Storia americana, e non solo.

dirittoTheodore Melfi, il regista, dirige un film dai risvolti drammatici – si parla pure sempre di emancipazione femminile e diritti civili – raccontato però con leggerezza. Lo scopo non è condannare né dare una posizione forte contro il razzismo, cosa che magari è più sottolineata in altre pellicole come Barriere o Loving, ma semplicemente mostrare e ricordare, seppur con momenti comici come la corsa di un chilometro per usufruire della toilette, le ingiustizie e i soprusi subiti nel tempo.

I buoni sentimenti non mancano, ovvio, come pure le parentesi romantiche, ma tutto questo non limita mai la potenza del racconto reale. Reale come Katherine Johnson (interpretata da Taraji P. Henson) che calcolava le traiettorie, le finestre di lancio e i percorsi di ritorno di molti voli spaziali, dal Project Mercury, alla spedizione orbitale di John Glenn, all’ Apollo 11 sulla Luna del 1969, fino ad arrivare al programma Space Shuttle e i piani per le missioni su Marte. In sedia a rotelle, è salita sul palco degli Oscar guadagnandosi una standing ovation da lacrimoni. Dorothy Vaughan (interpretata da Octavia Spencer) che è stata una matematica, poi specializzata in elettronica, informatica e programmazione. E Mary Jackson (interpretata da Janelle Monàe) matematica e ingegnere, che ha iniziato la sua carriera da calcolatore per diventare poi il primo ingegnere donna nera alla NASA.

Figure nascoste ma essenziali, capaci di farsi valere a gomitate, per sottolineare il loro diritto di contare e il nostro dovere di ricordare.

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Giulia Cipollina

28 anni, laureata, lavoro in un negozio di ottica e fotografia. Come se già non bastasse essere nerd: leggo tanto, ascolto un sacco di musica e guardo ancora più film - ma almeno gli occhiali per guardare da vicino posso farmeli gratis.
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