
Il giardino dei Finzi Contini: dal romanzo di Bassani, un ritratto dell’Italia fascista e antisemita
Il giardino dei Finzi Contini (1970) è un film (notissimo, se non vivete su Marte è difficile che non ne abbiate visto almeno qualche scena) a cui sono particolarmente legata, per diversi motivi.
Il primo, e più importante, è che si basa sul romanzo omonimo di Giorgio Bassani, ovvero il mio titolo italiano preferito, un libro che mi ha cambiato e in cui ogni volta trovo qualcosa di nuovo, un significato che mi era sfuggito.
Secondo motivo, è un film di Vittorio De Sica, regista che amo molto e che compatisco quando penso che da lassù sia costretto ad osservare la carriera del figlio Christian.
E che per questo film si è accaparrato il quarto Oscar al Miglior Film Straniero.
In ultimo, anche se mi scoccia ammetterlo, questo film mi è stato propinato per la prima volta da mia madre.
Ferrara, 1938: la ricchissima famiglia Finzi Contini decide di aprire il proprio giardino agli amici dei figli Micòl/Dominique Sanda e Alberto/Helmut Berger, perché possano giocare a tennis, essendo stati espulsi dal circolo cittadino in quanto ebrei.
Tra loro c’è Giorgio/Lino Capolicchio e Giampiero “Giampi” Malnate/Fabio Testi: il primo, laureando in Lettere, è un amico d’infanzia di Micòl, l’altro, chimico e comunista, è diventato una sorta di mentore per il fragile Alberto.
Mentre i giovani giocano a tennis, in quella prigione dorata che è Villa Finzi Contini, la situazione italiana e mondiale si aggrava: la guerra pare ormai inevitabile e per gli ebrei diventa sempre più difficile vivere normalmente.
Nel frattempo, si consumano i drammi privati: Alberto è gravemente malato, il fratello di Giorgio deve lasciare il Paese e il rapporto tra il protagonista e la bella, sospirata Micòl si fa sempre più tormentato.
Il giardino dei Finzi Contini è il risultato dello scontro titanico tra il padre letterario e il regista, che deve affrontare la non facile impresa di tradurre sullo schermo un romanzo dal linguaggio semplice, eppure al tempo stesso così complicato, pieno di flashback e di lunghe descrizioni di luoghi e d’impressioni.
Giorgio Bassani però rimase talmente insoddisfatto delle modifiche apportate alla trama da chiedere che il suo nome venisse tolto dai titoli di coda.
Un bel tipino, Bassani… È pur vero che le modifiche non sono state lievi: una su tutte, il fatto che il protagonista si chiami Giorgio, identificandolo così con lo scrittore, mentre nel romanzo la voce narrante è un Io senza nome.
Quello che più risalta agli occhi dello spettatore ne Il giardino dei Finzi Contini è il distacco tra il mondo reale, bellicoso e inquietante, e l’aristocratica famiglia, la cui routine scorre imperturbabile.
Interminabili e sonnacchiose giornate trascorse a giocare a tennis, a discutere di letteratura e a sorbire raffinati cocktails: così diversa dall’atmosfera caotica che si respira in casa di Giorgio, in cui la Storia è franata addosso senza alcun preavviso.
E Micòl, la sfuggente, incoerente Micòl... Adorata da lontano fin da bambina, incoerente e simbolo, oltre che dell’amore idealizzato e irraggiungibile, di un mondo ovattato e privilegiato che è destinato a scomparire, risucchiato dalle bombe e dai lager.
A Giorgio, pur amandola, non sfugge il cieco immobilismo in cui ristagnano lei e la sua famiglia, ma ne è al tempo stesso attratto, conscio com’è della superiorità sociale che essi incarnano.
Il protagonista – impersonato da un ottimo Lino Capolicchio – è comunque l’unico personaggio realmente immerso nel contesto storico: il solo che capisca che l’essere espulsi dai circoli sportivi, dall’Università, dai pubblici esercizi non è che l’inizio, che il regime soffocherà ebrei e “gentili”, colpevoli a loro volta di non aver saputo prevenire il disastro.
«Lo so, lei ha famiglia. Tutta l’Italia ha famiglia»: questa l’amara constatazione di Giorgio nel momento in cui il direttore della biblioteca comunale, fino al giorno prima amico di famiglia, lo caccia via dall’aula in quanto di religione ebraica.
Degno di menzione speciale è Alberto, il reietto di famiglia, sia a causa della sua malattia, sia di una non neanche troppo velata omosessualità: giovane tormentato e affascinante, ben rappresentato da un attore altrettanto tormentato e affascinante come Helmut Berger, è l’unico membro della famiglia Finzi Contini ad avere il sentore che qualcosa di terribile stia per accadere.
Le discussioni con Giampi, comunista e donnaiolo, che gli rimprovera eccessive malinconia e inerzia, politica e sentimentale, sono tra i momenti più interessanti della pellicola.
Nonostante i dissapori tra autore e regista, che giustamente biasimò le eccessive libertà rispetto al romanzo, Il giardino dei Finzi Contini è senza dubbio un prodotto di pregio, nonché di pubblica utilità: ciò che è già accaduto può riaccadere, se non ci prestiamo attenzione.