Film

Il Giardino delle Parole | Ecco come sono tornato ad amare con gli occhi

Provo un certo imbarazzo in questo momento. Mi sento nudo davanti ad uno schermo ed è la sensazione più strana provata negli ultimi mesi. Se pensate possa essere roba da poco, ricordatevi sempre che siamo appena usciti da una quarantena di oltre 60 giorni. Giusto per darvi il quadro generale dei miei pensieri. Grazie a dio mi ha tenuto compagnia Zerocalcare.

Sto bene, sono stato fortunato. Nel mio isolamento però ho scoperto di aver perso buona parte della mia sanità mentale: ho rigettato ogni forma audiovisiva che mi si presentava davanti a gli occhi. Non scherzo. Con il tempo l’odio verso film e serie tv è andato via via peggiorando e solo quando la fase due mi riportato in contatto con la “vita reale”, ho preso nuovamente fiato. Due mesi di vuoto che non sono riuscito a colmare e nei quali ho perso letteralmente le parole. Apatico. Infatti non ho più recensito nulla. Pigrizia? Incapacità? Ansia? Fate un mix di tutto.

Oggi, discorsi pedanti e deprimenti a parte, in questa giornata di pioggia, voglio tornare prepotentemente sulle pagine virtuali del MacGuffin parlando di un gioiellino che tanto mi ha colpito quanto sorpreso. La pellicola incriminata è un anime di Makoto Shinkai (forse lo conoscerete per l’acclamatissimo Your Name) dal titolo Il Giardino delle Parole. Ammetto di essere un novellino in materia “cartoni giapponesi”, persino da non sapere che il mediometraggio di cui vi ho appena fatto il nome fosse un vero oggetto di culto tra gli amanti del genere.

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Adesso basta dilungarmi, vediamo se mi ricordo ancora come si fa.

Più di un giorno di pioggia in Giappone

Il Giardino delle Parole racconta la storia di Takao, giovane studente con un sogno nel cassetto, quello di poter un giorno diventare un desiner di calzature, e di Yukari, una donna misteriosa che passa le sue giornate bevendo birra e mangiando cioccolato. Le vite dei due personaggi si incroceranno casualmente, proprio in un giorno di pioggia, lì seduti sulle panchine di un giardino pubblico di periferia.

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In soli 50 minuti di durata circa, viene racchiuso un’autentico tsunami d’emozioni (ho sbagliato gioco di parole?): grazie ad un ritmo scandito magistralmente (merito di un montaggio ai limiti della perfezione), il filo che lega Takao e Yukari è un continuum di animazioni da far strabuzzare gli occhi. Il Giappone immaginato da Shinkai sta tutto in quei colori così accessi e nella pioggia che rende l’atmosfera ancora più accattivante. Ma Il Giardino delle Parole non è solamente “bei disegni” ed un lato tecnico mostruoso.

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La storia procede di stagione in stagione, in un arco narrativo sintetico, ma coinvolgente in ogni secondo che passa. Lo spettatore riesce ad immedesimarsi totalmente con i protagonisti: caratterizzazioni mirate, personalità marcate, forse un po’ stereotipate, ma mai banali; la cura per i dettagli in regia è da sturbo, le inquadrature su ogni piccolo gesto trasmettono un senso di pace e delicatezza che viene impreziosito da una colonna sonora manco a dirlo meravigliosa.

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Il Giardino delle Parole mette in scena una complessa relazione interpersonale (principalmente per la differenza d’età), romantica al punto giusto e mai stucchevole; nell’opera traspaiono il profondo rispetto e il pudore insito nella tradizione nipponica, senza che mai si perda di sensualità. Non si sfocia mai nel sentimentalismo gratuito, ma ci si commuove assieme a Takao e Yukari, personaggi verosimili ed empatici. Paure e desideri, futuri incerti e passati che riemergono prepotentemente… Ho ancora gli occhi lucidi.

Una parte di me ed un’altra di tutti noi

Probabilmente il fatto che io mi sia immedesimato così tanto nel film abbia distolto la mia attenzione da alcuni nei più o meno evidenti: forse un’approfondimento maggiore della vicenda, specie nello snodo centrale, avrebbe sicuramente giovato al tutto; è indubbia inoltre l’originalità de Il Giardino delle Parole, non può essere messa in discussione, ma resto ancora oggi con quella sensazione in bocca di déjà vu. Sarà colpa del già citato Your Name? Molto probabile.

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Inutile però soffermarsi su questi punti, soprattutto quando si arriva lanciati a quel finale in bilico tra l’aperto e il chiuso, tra il dolore e la speranza, somigliante tanto ad alcune promesse che mi sono fatto e poi si sono in parte avverate. In quella che è diventata la mia opera preferita di Shinkai ho rivisto i turbamenti della mia generazione, un percorso di crescita che tanti di noi hanno dovuto affrontare e con cui sono confrontati. Il Giardino delle Parole è un’opera di formazione tanto leggera e sontuosa visivamente quanto profonda nei temi trattati. Un diamante a 40 carati cubitali da recuperare seduta stante. Ora so cosa vuol dire amare nuovamente il Cinema con i miei occhi.

E questa è l’ennesima prova che gli anime migliori non sono sempre i porno. BESTIE DI SATANA.

Davide Casarotti

Antipatico e logorroico since 1995. Scrivo di Cinema da quando ho scoperto di non saper fare nulla. Da piccolo volevo fare il cuoco, crescendo ho optato per il giornalista; oggi mi limito ad essere pessimista, bere qualche birra con gli amici e andare al Cinema da solo. Giuro, non sono una brutta persona.
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