Serie TV

Il nome della rosa – Episodi 3-4 – E allunghiamolo un po’ ‘sto brodo…

Premessa doverosa: stavolta ho fatto più fatica della precedente a mantenere alta l’attenzione. Sarà che Il nome della rosa ormai non è più una novità, sarà che alle 22 ho già sonno, fatto sta che raga, stavo sbattendo sulla tastiera. 

La biblioteca, che Guglielmo ha ormai identificato come fulcro degli eventi delittuosi, continua ad essere inavvicinabile per tutti. Adso, oltre a seguire le indagini del Maestro, si invaghisce della bellissima ragazza dei capelli rossi che bazzica nei dintorni dell’abbazia.

Bernardo Gui è ossessionato dal ricordo del processo di Margherita, compagna di Fra’ Dolcino, mentre un altro frate, Berengario, ci lascia le penne, apparentemente per annegamento: sulle dita e la lingua Guglielmo trova delle macchie nere sospette…

Allora: come già detto nel precedente articolo relativo a Il nome della rosa ciò che più salta agli occhi è la proliferazione di dialoghi: mi immagino lo sceneggiatore in versione amanuense – tanto per restare in tema – che copia pedissequamente il romanzo di Eco.

Il cast è sempre brillante – John Turturro si cala sempre meglio nel ruolo e con Hardung fanno un’accoppiata azzeccata – e Rupert Everett, sorprendentemente, piace sempre di più, in questa inedita veste di cattivo.

Nonostante gli indiscutibili pregi – la regia, il cast, la fedeltà (anche troppa!) al testo originale – questi due episodi de Il nome della rosa scorrono troppo lentamente: si ha la sensazione che gli eccessivi dettagli siano una stratagemma per allungare il brodo, e mi viene da pensare che sarà dura affrontare altri quattro episodi senza una damigiana di caffè.

Anche la storia parallela di Dolcino e la sua amante… interessante, ok, ma portata troppo in primo piano. Oserei dire che stanca.

Non voglio perdere le speranze e lunedì prossimo sarò di nuovo lì, davanti alla tv, in attesa di rimanere strabiliata.

Apprezzo comunque che la Rai tenti, dopo anni di cazzate, di riconquistare il pubblico con dei prodotti di qualità: sembra un ritorno ai vecchi sceneggiati che, oltre a divertire e ad appassionare, avevano una funzione didattica, ossia avvicinare la popolazione ai classici.

Con Il nome della rosa la televisione nazionale ci prova e, in parte, ci riesce pure. Lo trovo però un prodotto molto elitario, con un linguaggio troppo elevato e raffinato che rischia di annoiare anche gli amanti dei mattoni, come la sottoscritta.

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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