Raga, tenetevi forte: questa volta sono riuscita a vedere Il nome della rosa senza rischiare di giacere esanime davanti allo schermo.
Sì, gli episodi 5 e 6 sono quelli che più ho apprezzato finora, specialmente grazie alla malvagità di Rupert Everett/Bernardo Gui.
Mentre all’abbazia continuano le dispute teologiche tra le due delegazioni, Bernardo Gui inizia ad avere dei sospetti su Remigio/Fabrizio Bentivoglio. Guglielmo e Adso intanto proseguono le indagini sugli omicidi, anche se il giovane novizio viene romanticamente sviato dalla bella occitana.
Anna, figlia di Dolcino, riesce a entrare nell’abbazia per farsi ridare le lettere del padre, che però sono andate perdute.
Ebbene sì, stavolta Il nome della rosa e Battiato sono riusciti a non farmi calare la palpebra come la scorsa settimana.
Se, da un lato, le indagini di Guglielmo, che sono giunte a un punto di svolta, e i giochi amorosi di Adso e la sua bella riescono a solleticare la curiosità dello spettatore medio – finalmente un po’ di pepe! – il vero punto di forza di questi episodi è da ricercarsi nell’interpretazione di Rupert Everett.
Finora era rimasto un po’ nell’ombra, defilato rispetto a John Turturro, in questo momento il buon Rupert si riscatta, portando sotto le luci della ribalta un Bernardo Gui, cattivissimo, subdolo e calcolatore che cancella in parte la nostalgia per il caro F. Murray Abraham.
Mi scoccia ammetterlo ma il suo sostituto televisivo si comporta alla grande.
Anche il giovane Damien Hardung comincia lo “svezzamento” e lo vediamo più disinvolto e, come il suo personaggio, ormai in grado di seguire il suo Maestro, diventandone un sostegno, non più solo la spalla.
Inizia a delinearsi meglio la silhouette di Anna, che finora non mi aveva colpito per niente, così come si affaccia prepotentemente Remigio, che sappiamo avere un ruolo importante nella storia (ok, sto dando per scontato che tutti abbiate già visto il film di Annaud, perdonatemi).
Anche il grande (e ottuagenario, ma non lo si direbbe) Roberto Herlitzka, che interpreta, lo ricordo, Alinardo da Grottaferrata, finalmente riesce a emergere, facendo impallidire con la sua verve gli altri attori, ben più giovani di lui.
Insomma: questa accoppiata di episodi de Il nome della rosa ha un po’ riscattato la noia dei precedenti, aggiungendo ai dialoghi quell’azione che ci mancava.
Perché è vero che si parla di un’abbazia in cui è in corso un concilio religioso ma Il nome della rosa è anche e soprattutto un giallo e, come ogni giallo che si rispetti, ha bisogno di alcuni elementi che stimolino sia la capacità deduttiva dell’inquirente sia quella dello spettatore, che deve partecipare alla ricerca investigativa.