Carissimi, ce l’abbiamo fatta: Il nome della rosa, la serie Rai ispirata all’omonimo romanzo di Umberto Eco, di cui vi ho diffusamente parlato nelle scorse settimane, è F-I-N-I-T-A.
Tra alti e bassi, dopo mille traversie, sono giunta alla conclusione che già “mi sentivo nelle ossa”, per citare mia nonna: il film di Annaud ne esce imbattuto, anche se la serie diretta da Giacomo Battiato si è dimostrata un avversario di tutto rispetto – a volte.
Mentre Bernardo Gui sottopone Remigio/Fabrizio Bentivoglio a un duro interrogatorio, durante il quale si chiarifica il suo legame con Dolcino, Adso è in pena per la sorte della ragazza occitana, accusata di stregoneria dall’Inquisizione.
Guglielmo, dopo la morte del bibliotecario Malachia/Richard Sammel, ha ormai compreso che il segreto dell’abbazia risiede proprio nella biblioteca e risolve il caso.
Temo sia l’ora di uno dei miei elenchi pro/contro, a cui spesso mi appiglio per prendere le grandi decisioni della mia vita – di solito toppando in pieno -, sia che si parli di una gonna, di un ristorante o di un ragazzo.
Premettendo che l’ultimo episodio non mi è piaciuto, avendolo trovato noioso e ricco di dettagli se non proprio inutili, quantomeno trascurabili, e che l’entusiasmo nel seguire gli arzigogoli mentali di Guglielmo da Baskerville nel risolvere il caso – di cui ovviamente già sapevo l’esito – sia addirittura mancato, visto il piattume generale, direi che la la mia personalissima lista a proposito de Il nome della rosa è la seguente:
PRO:
- Il cast: azzeccato e all’altezza della situazione. Su tutti spiccano John Turturro e Rupert Everett, che non fanno rimpiangere i loro illustri predecessori, Sean Connery e F. Murray Abraham. Dolce e ingenuo Hardung, convincente Bentivoglio e ottimo Stefano Fresi nei panni di Salvatore;
- La regia: nonostante alcuni difetti, io Battiato lo promuovo, aveva davanti a sé un compito non facile e l’ha portato a termine, anche se un po’ fiaccamente (specie in alcuni momenti);
- Scenografia, fotografia e costumi: ineccepibili;
CONTRO:
- L’eccesso di dettagli: ok, Il nome della rosa è un romanzo di ampio respiro e complicato, di non facile fruizione ma temo che i dialoghi poco scorrevoli e fin troppo aulici, e l’enfasi esagerata su alcuni aspetti di scarso interesse per il grande pubblico non aiutino l’avvicinamento dello stesso al capolavoro di Eco;
- Al contrario, la scarsa attenzione dedicata a personaggi di peso ai fini della trama, quali Alinardo da Grottaferrata (l’ho già detto, ho un debole per Roberto Herlitzka ma in questo caso sono obiettiva) o lo stesso Jorge da Burgos/James Cosmo;
- In questo calderone di elementi storici, religiosi e filosofici, spesso pare che ci si dimentichi di un dettaglio fondamentale: Il nome della rosa è un giallo, un thriller della miglior schiatta. Il più grave contro, a mio parere, è questo: per approfondire tutte le numerose sfumature del romanzo, si è trascurata quella dell’inchiesta investigativa di Guglielmo, che è struttura portante dell’opera. La sensazione ricorrente è questa: sullo sfondo, neglette, le indagini del francescano, sotto le luci della ribalta tutto il resto.
In sintesi, anche a costo di risultare ripetitiva: Il nome della rosa è un prodotto di livello, se considerato il pattume che la Rai ci propina da anni.
Manca quel quid in più, quel guizzo di entusiasmo che una serie di otto puntate aveva l’opportunità di offrirci, approfittando dell’ampia quantità di tempo che a un film invece manca.
Link delle puntate precedenti:
Ep. 1-2
Ep. 3-4
Ep. 5-6