Film

Il nome della rosa

Chiariamoci, questa non è e non vuole essere una recensione come le altre, perché nasce da una situazione – la morte di Umberto Eco – che non ci concede di usare il nostro solito humour, nè il nostro stile scanzonato.

Questo vuole essere il nostro modo di dire addio a un gigante della cultura italiana, e lo facciamo nell’unico modo in cui è concesso al MacGuffin: parlando di cinema.

Il film in questione è ovviamente Il nome della rosa, che risale al 1986, per la regia del francese Jean-Jacques Annaud (premio Oscar 1977). Pur essendo una produzione italo-franco-tedesca e non avendo quindi a disposizione un budget enorme, il film vanta un cast di tutto rispetto: Sean Connery (nei panni del protagonista Guglielmo da Baskerville); Christian Slater; F. Murray Abraham e Ron Pearlman tra tutti.

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La storia è pressoché identica a quella narrataci dal professor Eco: una coppia di frati francescani (Sean Connery e Christian Slater), arrivano in una non ben specificata abbazia del Nord Italia dove si stanno verificando strani omicidi; la stessa abbazia – di lì a poco – ospiterà un concilio atto a sanare le fratture in seno al movimento religioso e il nostro Guglielmo da Baskerville (notate qualche riferimento nel suo cognome?) dovrà indagare discretamente, nascondendosi tra le fila di tenebrosi frati, avvolti in ben più di un mistero.

La storia è avvincente, a tratti gotica e procede ad altezza di medievale: il mondo descrittoci da Eco è quello di una congrega di ometti spaventati dal buio e dalle ombre della foresta, che corrono a nascondersi in chiesa, gettandosi nella preghiera, spaventati da tutto e tutti.

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I temi cardine sono due, ed è qui che vorrei riallacciarmi all’Umberto Eco che stiamo celebrando: il sorriso, innanzitutto, in quanto il caso seguito da Guglielmo è legato a doppio filo col secondo libro della Poetica di Aristotele, quello sul riso, appunto; il secondo è l’amore per la Biblioteca, la Biblioteca intesa come universale culla del sapere, come alcova di erudizione e quindi di civiltà e umanità. Eco instilla nel suo protagonista la sua stessa devozione per la parola scritta, per quel mondo che lui stesso ha servito, studiato ed espanso.

L’umorismo e la cultura sono le uniche luci che possono guarire sia il terrore dell’uomo medievale, sia la passiva noncuranza dell’uomo contemporaneo: l’intera opera di Eco, la sua forza dirompente, sta proprio nel suggerirci di perseguire la cultura come un obiettivo eternamente valido, di lottare per essa, di spenderci sudore e sangue perché alla fine ne vale sempre la pena.

E nel nostro piccolo – ma piccolo piccolo – anche noi di MacGuffin, con i nostri sproloqui sulla Settima Arte e sulle sue affascinanti, multicolori vicissitudini, anche noi ci sentiamo di poter dire che stiamo facendo la nostra parte.

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Grazie professor Eco.

Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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