
Il patto dei lupi: la Francia pre-rivoluzionaria che incontra l’horror e le arti marziali
L’estate è alle spalle e lascia spazio alle atmosfere plumbee dell’autunno. E potrebbe mai esistere stagione migliore per farsi una scorpacciata di film horror, preferibilmente tendenti al gotico? Ovviamente no. Per l’occasione ho deciso di inaugurare la mia annuale trasferta nel cinema del terrore con Il patto dei lupi, pellicola francese datata 2001 che se all’inizio può sembrare una variazione sul tema del burtoniano, bellissimo, Il mistero di Sleepy Hollow, in realtà si presenta già nel giro di una decina di minuti come qualcosa di completamente differente e frizzante, a metà tra la follia sopra le righe del pulp e la visionarietà di una graphic novel.
A dirigere questo gioiellino troviamo Christophe Gans, ex critico cinematografico passato dietro la macchina da presa noto per aver diretto assieme al noto regista Brian Yuzna una sezione del film a episodi Necronomicon e, soprattutto, la per me orribile (e non esiste nulla nel globo terracqueo che possa farmi cambiare idea. Forgive me) trasposizione di Silent Hill.
La trama è presto detta: siamo nella Francia del XVIII secolo, e una mostruosa creatura simile a un lupo semina il terrore nelle campagne del Gévaudan, uccidendo senza pietà gli inermi abitanti. Dopo tre anni e innumerevoli morti, le voci sul mostro arrivano a Parigi, e il re Luigi XV incarica il Cavaliere veterano di guerra Grégoire de Fronsac (Samuel Le Bihan), un esperto naturalista con il vizio del libertinaggio, di fermare la strage. Ma Grégoire non è solo nella sua missione, e si fa accompagnare da Mani (Mark Dacascos), un affidabile pellerossa esperto di arti marziali (!).
Il patto dei lupi non è la classica favoletta stereotipata sui licantropi che ci si potrebbe aspettare, e pur non mancando lo splatter non è nemmeno un horror in senso stretto, visto che i momenti in cui dilaga l’ironia sono numerosi e ci si spaventa poco e nulla. Il risultato finale è piuttosto un cocktail schizofrenico di commedia, racconto gotico, avventura, film in costume e thriller dalle sottili venature erotiche che rende impossibile annoiarsi anche solo un secondo.
Per costruire le quasi due ore e mezza di pellicola, Gans ha attinto da un fatto di cronaca realmente avvenuto nel Settecento, e pur ancorando la soluzione della storia a una dimensione ben poco demoniaca, il fascino macabro di un immaginario di ruderi romantici, foreste spettrali e creature mostruose viene restituito alla massima potenza. Giusto per non farsi mancare nulla, il regista infittisce il racconto con una serie di intrighi dal sapore cappa&spada strettamente legati alla Rivoluzione francese che alimentano la suspense, invogliando lo spettatore a scoprire dove tutto vada a parare.
Proprio come tutti i registi formatisi nel campo della critica cinematografica, pure Gans si diletta a riempire la sua opera di mille citazioni al cinema di genere, soprattutto quello italiano. La cosa è evidente specie nell’opulenza scenografica e nei cromatismi, dichiarati figli dell’amore di Gans per “gentaglia” come Mario Bava e Dario Argento.
Non può non balzare all’occhio la presenza delle arti marziali in stile John Woo all’interno del film, protagoniste assolute di scene d’azione spettacolari che non potevano non far breccia nel cuoricino affascinato dalla tamarria del sottoscritto. Per quanto vedere acrobazie e duelli alla Tigre e il dragone in un film ambientato nella Francia pre-revoluzionaria possa risultare troppo kitsch per alcuni palati raffinati e radical chic, è innegabile quanto lo sfogo di bravura del coreografo Philip Knowk sia sbalorditiva. Se si scrolla le spalle e si sta al gioco, il divertimento è davvero assicurato.
Compatto nella sua contaminazione di toni e generi virtualmente agli antipodi gli uni con gli altri, Il patto dei lupi è un viaggio suggestivo tra le splendide location francesi ammantate da un quasi onirico make-up gotico, e una vetrina di gran lusso per divi come Vincent Cassel (sempre bravo, anche se non mi sta troppo simpatico) e Monica Bellucci (stupenda, ma da tappi nelle orecchie), impegnati a dar corpo a due irresistibili personaggi da fumetto tutti da scoprire.
Vero, si può discutere sugli effetti speciali digitali non invecchiati benissimo, sulla rincorsa all’eccesso sfrenato per stupire lo spettatore anche a discapito della verosimiglianza, sul mancato approfondimento dei vari discorsi riguardanti la lotta di classe, il razzismo e la superstizione, ma alla fine Il patto dei lupi è intrattenimento d’atmosfera leggero e senza pretese cervellotiche, e preso come tale lascia un buon ricordo di sé. Oltre a rammentarci quanto la cinematografia francese, in fatto di creatività, abbia solo da insegnare al resto del mondo.