Film

Il pensionante: i primi vagiti di Hitchcock ai tempi del cinema muto

Uno dice Hitchcock e subito pensa ai classiconi: stormi di Uccelli che invadono le città, Psyco con qualche problemino irrisolto con mammà dediti a seviziare innocenti fanciulle nelle docce, fascinosissimi Cary Grant impegnati in intrighi internazionali e in caccie al ladro. Già, ma come ha cominciato il maestro del brivido per antonomasia, prima di approdare nel Nuovo Mondo e diventare il profilo più famoso del cinema? Ebbene, se davvero volete definirvi cinefili, non potete perdervi Il pensionante, chicca del 1927 definita dallo stesso Hitchcock “il mio primo film”, sebbene già in precedenza avesse iniziato a giocherellare con la macchina da presa. Perché? Beh, perché per la prima volta Alfred inizia a dilettarsi con inquadrature, luci e ombre, uomini comuni invischiati in cose più grandi di loro. Ah, last but not least: Il pensionante è un film muto. E proprio per questo, in certi punti riesce ad essere perfino più inquietante dei suoi lavori successivi – espressionista, quasi.

Ma andiamo con ordine: la trama de Il pensionante non è nulla di particolarmente geniale o rivoluzionario. Nella Londra degli Anni Venti un misterioso serial killer si diverte a uccidere ragazze indifese nella notte, tutte rigorosamente biondissime e boccolosissime, e a firmarsi come the avenger – il vendicatore. La polizia brancola nel buio, tutte le donne appena più chiare del castano vivono nel terrore, e fra queste spicca Daisy (June Howard Tripp), particolarmente bella e bionda. Fidanzata controvoglia con il classico poliziotto imbranato (Malcom Keen), nella pensione dei suoi genitori approda il misterioso Jonathan Drew (Ivor Novello), che naturalmente esercita sulla pulzella un fascino particolare. Altrettanto naturalmente il nostro ispettore non è soddisfatto della cosa, ancora più naturalmente il bel pensionante sembra nascondere qualche segreto, e naturalissimamente equivoci e scambi di identità sono dietro l’angolo.

In mano a qualsiasi altro regista, Il pensionante sarebbe stato un gialletto d’antan e niente di più; con Hitchcock, si trasforma in un antesignano del genere. Tutto lascia presagire ciò che arriverà sui grandi schermi negli anni a venire: dalla nebbia così londinese e così sapientemente utilizzata per enfatizzare il clima di sospetto, alle folle inferocite e quasi incapaci di sviluppare un pensiero autonomo rispetto ai giornali, a un paio di scene da manuale del cinema – se la discesa dalle scale così sapientemente ovale è simmetrica potrebbe essere un quadro astratto da tanto è perfetta, la scelta di inquadrare i passi dell’inquilino dal basso attraverso una lastra di vetro è, beh, divina.

A questi dettagli così deliziosamente hitchockiani si sommano gli stilemi del cinema muto: volti pallidi e labbra quasi nere in modo da far assomigliare gli attori a dei vampiri – e l’arrivo del pensionante in tale veste non è affatto casuale –, vestitini e cappellini charleston che scalderanno il cuore a tutte le spettatrici, smorfie che sfiorano il grottesco senza mai diventarlo davvero.

Dire che Il pensionante non senta l’età forse è eccessivo; però, è un ottimo modo per calarsi nell’atmosfera di quasi un secolo fa, per immergersi negli albori della settima arte, e per curiosare nei primi esperimenti della nostra silhouette preferita.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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