
Il futuro del pianeta delle scimmie… 50 anni dopo!
A cinque decenni dall’uscita nelle sale italiane, Il pianeta delle scimmie di Franklin James Schaffner non sembra aver perso il suo fascino originario.
Correva il lontano 1963 quando Pierre-François-Marie-Louis Boulle pubblicò Il pianeta delle scimmie. L’interminabile nome dell’autore francese, tanto altisonante e dal sapore un po’ snob, potrebbe ingannare suggerendo un voluminoso – e altrettanto polveroso! – tomo interminabile su qualche astrusa teoria evoluzionistica moderna. Ebbene no! Il volumetto di poco meno di 200 pagine è uno dei gioiellini dimenticati della fantascienza, il più classico esempio di libro vittima della sua trasposizione cinematografica. Tutti conoscono il franchise de Il pianeta delle scimmie: qualcuno ha vissuto l’esordio di questa celebre saga cinematografica, qualcun altro, invece, è rimasto stregato dalla motion capture targata Andy Serkis. Insomma, ogni decennio e generazione ha uno strano legame con questa strana creatura del grande schermo spesso rimasta all’ombra di sfreccianti astronavi delle arcinemiche Star Trek e Star Wars.
A cosa è dovuta, però, l’aria da cult che circonda il film del 1968 e cosa lo rende imperdibile? Pronti per questo viaggio a spasso per il tempo?
Il primo film di una serie di 9 pellicole e 2 serie tv è il risultato esplosivo di un genere in evoluzione e di un periodo storico dai nervi costantemente tesi. La genesi di questo antenato dalle sembianze scimmiesche, tuttavia, è stata difficile. Si potrebbe dire che ha richiesto tentativi, mutazioni ed errori molto simili a quelli richiesti dai processi evolutivi. Inizialmente il progetto non prevedeva Charlton Heston nei panni del protagonista. Difficile ora pensare a un altro interprete diverso dal leggendario Ben Hur cinematico. Test e trattative portarono a quello che oggi conosciamo come un film che sì, ha patito qualche anno, ma che è ancora di grande impatto.
Un ritratto paradossale di un’epoca e di un pianeta
Il mondo su cui approda la navicella Icarus guidata dall’astronauta George Taylor (Charlton Heston) sin dai primi fotogrammi sembrerebbe non essere sorgente di vita. Questa terra inospitale e arida sembra essere molto lontano dal paradiso cercato da Taylor e colleghi per il futuro della specie umana. Il grande pericolo, però, è dietro l’angolo: l’intero equipaggio viene fatto prigioniero da nientemeno che un gruppo di scimmie a cavallo. Chi avrebbe mai pensato di prendere sul serio delle scimmie a cavallo? Ecco che emerge subito la sottile vena ironica con cui Shaffner alla regia e la coppia Wilson-Serling alla sceneggiatura affrontano le più radicate inquietudini. Con questo velo quasi invisibile, il film riesce ad affrontare le problematiche più complesse degli anni Sessanta. Si percepisce in primis la grande tensione legata al clima da Guerra Fredda, la paura di essere a un passo da un conflitto nucleare senza via d’uscita.
Maledetti, l’avete distrutta! Dannati, dannati per l’eternità!
Il pianeta delle scimmie si avventura con disinvoltura, strappando talvolta qualche involontario sorriso, in un terribile scenario post-apocalittico costruito sequenza dopo sequenza per portare il pubblico verso un epilogo sconvolgente. Uno dei finali più celebri della storia del cinema – quindi no, non si può dire spoiler! Uno schiaffo che risveglia chiunque ponendolo prepotentemente davanti alle proprie responsabilità. Di fronte alla fiaccola della Statua della Libertà che spunta dalla sabbia siamo tutti bambini colti con le caramelle rubate! L’adattamento di Schaffner, oltre ad aver catturato la tesa atmosfera internazionale rielaborando la conquista dello spazio, inquadra brillantemente i complessi conflitti sociali dell’epoca. Scontri tra generi e specie non sono altro che il riflesso di un decennio di lotte civili davanti a cui in molti hanno assistito impassibili o impotenti. Non vedo, non sento, non parlo: non guarderete più le emoji delle scimmiette allo stesso modo!
Tra innovazione e tradizione
Ricordate l’eccentrica figura di John Chambers, il truccatore hollywoodiano coinvolto nelle vicende narrate nel film Argo del 2012? Quel signore occhialuto è tra gli artefici del successo de Il pianeta delle scimmie oltre che uno dei pionieri dell’arte del make-up cinematografico. A distanza di anni, il lavoro di Chambers potrebbe talvolta strappare qualche sorriso ma fu senza dubbio la scintilla che diede il via a una sempre maggiore attenzione verso questo aspetto. Questa cura senza precedenti venne riconosciuta con un Oscar onorario per il trucco, categoria istituita ufficialmente solo 14 anni dopo! È questo l’inizio di una lunga tradizione che ha accompagnato l’intera serie ambientata sul pianeta. Dopotutto questa continua ricerca a spinto l’acceleratore, in tempi recenti, sulla tecnica della motion-capture!
Il settore degli effetti speciali e del trucco in cinquant’anni ha fatto passi da gigante. Nonostante, sotto alcuni aspetti scenografici, il tempo non sia stato clemente, Il pianeta delle scimmie rimane un riferimento per la fantascienza moderna. La sua capacità di unire il più classico spirito di avventura a piccole dosi di riflessioni sociali e filosofiche è stata d’ispirazione per molti film di genere degli ultimi anni. La volontà di rappresentare in modo insolito e irriverente l’incontro tra specie differenti è un altro aspetto da non sottovalutare.
Forse i risvolti sociali del film potrebbero far pensare a una visione pesantuccia… sapete una cosa? A conti fatti, il bello de Il pianeta delle scimmie è la possibilità di essere visto con più prospettive. Avete bisogno di un film dalla spensierata aria un po’ geek-retrò? Oppure cercate uno sguardo alternativo sul tramonto degli anni Sessanta? La pellicola di Schaffner è sempre la risposta ai vostri problemi!
Ah, cercate di non perdervi mentre siete alla (ri)scoperta di questo classico! Gli imprevisti temporali e non di alcuni sequel a volte potrebbero causare qualche problemino…