Film

Il re leone: cara Disney, ricordati chi sei. Per favore, ci manchi

Nel novembre del 1994, un papà molto paziente portò la sua logorroica figlia di quattro anni al cinema per la prima volta in assoluto: il film in sala era Il re leone, che, come tutti sanno, perché è un fact about her che riesce sempre a inserire nella conversazione, è da allora il cartone preferito di quella bambina.

Potete quindi immaginare la pacata reazione di quella bambina, ormai ventinovenne nel 2019, all’annuncio del rifacimento in live action del film: memore dei quasi sempre disastrosi precedenti (uno su tutti, Dumbo), tra i sintomi si segnalano tremori, attacchi di panico e reflusso gastrico. 

Nonostante il parere contrario del medico, l’ammalata ha deciso sadicamente di portare la sua carcassa ad assistere all’esecuzione capitale di uno dei suoi più bei ricordi d’infanzia: consideratelo un nobile sacrificio in nome della critica cinematografica.

La trama è identica a quella dell’originale del 1994, così come i dialoghi, le canzoni (sul doppiaggio aprirò un pippotto a parte) e, salvo qualche – inutile – scena inedita, non ci sono grosse novità.

Un primo cartellino rosso lo troviamo nella scelta balorda di cambiare i nomi di due iene, addio Ed e Banzai e benvenuti, ma anche no, Azizi e Kamari. Una domanda: perché? 

Per amor di pace, non vi annoierò troppo con le mie considerazioni su quanto sia inutile e immorale l’andazzo di riproporre i classici Disney in live action: mancanza di idee o idolatria per il Dio Denaro che sia, il colosso di Burbank, per citare una raffinata espressione coniata da una persona a me vicina, porta sullo schermo solo un atto di compiaciuto autoerotismo. 

Possiamo anche accettare live action come Aladdin o Il libro della giungla, diretto anch’esso da Jon Favreau: tutto sommato, i protagonisti sono esseri umani, per cui il ragionamento fila, almeno in parte.

I nodi vengono al pettine nel momento in cui, come ne Il re leone, i personaggi sono tutti animali parlanti: il risultato che ne viene fuori è uno zoo di pupazzoni pelosi, perfetti a livello grafico ma totalmente inespressivi e quasi indistinguibili l’uno dall’altro – anche se Simba neonato è tenerissimo, lo ammetto.

Superato a fatica l’effetto documentario National Geographic dovuto alla tecnica in CGI, affrontiamo ora un grossissimo problema, che però riguarda strettamente la versione italiana: il doppiaggio.

Chiaro, nonostante l’affezione al film del ’94, non possiamo resuscitare Vittorio Gassman per la voce di Mufasa, abbastanza dignitosamente sostituito da Luca Ward o Tonino Accolla/Timon (adesso Edoardo Leo – sospensione di giudizio).

Soprassediamo pure sulla mancata riconvocazione di Tullio Solenghi per Scar ma ragazzi, Marco Mengoni ed Elisa, rispettivamente Simba e Nala, sono uno strazio vero e proprio. 

Non contenti di aver ucciso L’amore è nell’aria stasera, una delle più romantiche canzoni Disney, una mazzata arriva nello stomaco dello spettatore non appena comincia il film: Il cerchio della vita, di cui tutti, senza distinzioni d’età, genere e religione intoniamo l’ANZIBEGNAAAAAAAAA d’esordio, è cantato da Cheryl Porter che, nonostante la voce potente, ci fa rimpiangere l’Ivana Spagna nazionale.

Vi dico solo che a quel punto volevo già alzarmi e andarmene a piangere in un angolino.

Giuro, è la prima volta che Il re leone mi abbia annoiato: nonostante l’ineccepibile fedeltà alla trama originale, non mi sono mai commossa, neanche di fronte alla morte di Mufasa, evento che molti miei coetanei non hanno ancora superato, e nemmeno mi sono mai divertita. Anzi, a dirla tutta, dopo siamo andati a berci qualcosa per tirarci su.

Si guarda, al limite si ammira il progresso tecnologico, e basta.

Quindi perché non lo stronco del tutto? Perché qualcosina di positivo sono riuscita a trovarlo.

In virtù del politically correct che ormai s’impone ovunque, anche nel mondo animale, ne Il re leone del Nuovo Millennio si è scelto di dar maggior rilevanza ai personaggi femminili, ovvero la regina Sarabi, Nala e la iena Shenzi, che sono molto meglio delineate rispetto alla versione a cartoni animati.

Per una volta quest’accento femminista non risulta forzato ma ben inserito nel tessuto narrativo. Thumbs up.

L’unico altro punto positivo è invece un interessante dettaglio aggiunto alla trama che però non voglio svelarvi, niente spoiler.

Vi basti sapere che ha giustificato la stellina in più nel mio voto.

Al di là del mio forse eccessivo attaccamento all’unico e vero (per me) Il re leone, il remake del 2019 è una versione appiattita del precedente: molta forma, poca sostanza.

Forse le nuove generazioni lo apprezzeranno di più – anche se non mi è parso che i bimbi in sala né piangessero né ridessero – ma se la Disney ha puntato sul fattore nostalgia di noi ex bambini cresciuti al ritmo di Hakuna Matata, temo che l’unico risultato tangibile ottenuto sia una corsa disperata verso il blu-ray (o meglio ancora, il VHS) per rinfrancarci lo spirito.

Il box office ringrazia, il nostro cuore no.

 

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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