Film

Il rituale – L’horror malandrino tra i fratelli Grimm e il dio Odino

Avete voglia di una (non) tranquilla serata con un horror leggero e divertente? Mettetevi comodi, perché Il rituale è esattamente ciò che state cercando.

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Innanzitutto vi chiedo perdono per il titolo di questo articolo. Potrei accusare la fantasia malata del mio titolista, i vincoli del lavoro d’equipe, cose così, ma siccome il mio titolista non ha affatto inventiva, dato che non esiste, non mi resta che redarguire l’unico lestofante responsabile di questo titolo burlone, ovvero me medesimo. Ma passando dall’onanismo a ciò di cui vi vorrei parlare, cioè Il rituale, non posso non iniziare dicendovi che l’ho abbastanza adorato. Perché “abbastanza”? Perché non è un capolavoro, ma manco per le palle, (se fossimo a scuola sarebbe un 7 bello spigoloso, con la stanghetta dritta e cerchiato da un tratto di penna rossa bello spesso) eppure ti tiene attaccato allo schermo per la sua brava ora e mezzo, senza soluzione di continuità, inquieta, è ben girato, ben  gestito, i personaggi sono interessanti, lo stereotipo del bosco stregato è reinterpretato ottimamente. Ottimo dunque.

David Bruckner, fino ad ora responsabile solo di qualche corto horror – uno di questi inserito nel film a episodi V/H/S – dirige un horror originale, ma allo stesso tempo più classico di Pollicino: quattro amici per riprendersi da un lutto decidono di fare una vacanza nella selvaggia Svezia, quando a causa di un imprevisto saranno costretti a deviare dal sentiero per tagliare attraverso un bosco dove si troveranno a che fare con adoratori di culti pagani e, forse, qualcosa che di umano ha poco o niente…

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“Chi è che ha pisciato senza alzare la tavoletta?”

Già, il cazzo di bosco, il cliché più clichettoso di tutti, il mostro più antico, il vero e proprio anti-locus amoenus dove transumano i mostri, dove scorre il sangue, dove schiocchi, respiri, rami che si spezzano e ombre pellegrine fanno sì che la fantasia dell’uomo vi abbia da sempre relegato le sue peggiori paure.

Il rituale, tratto dall’omonimo romanzo di Adam Neville, ha un ritmo splendido, che conduce per mano lo spettatore in un incubo che si materializza a poco a poco, riuscendo a soddisfare tutti i parametri fondamentali dell’horror:

Atmosfera: la Svezia boschiva è semplicemente fantastica e dà la possibilità di introdurre il tema di sanguinosi culti pagani o comunque legati alla mitologia nordica, un mood che stuzzica sempre lo spettatore. La foresta poi è ripresa alla grande in tutta la sua disumana immensità, che pare anzi amplificata.

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Claustrofobia: dal momento in cui i protagonisti entrano nella foresta scompare praticamente il cielo, inghiottito da questo intrico di rami intrecciati, di alberi altissimi e folti. Il bosco è ipnotico, illusorio, asfissiante e già da solo riesce a trasmettere un senso di perenne angoscia.

Caratteri dei personaggi: molto accurati (e in questo si nota la presenza di un precedente letterario) sono i caratteri dei personaggi, che si incontrano/scontrano fino a quando i silenzi di un passato doloroso riemergono e ovviamente causano sanguinolente divisioni.

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“Mo’ raga facciamo er kebab”.

Il colpo di genio del regista sta nel non trasformare Il rituale in un monster movie e/o una splatterata senza senso, ma di mantenere l’atmosfera di thriller/horror psicologico che aveva preso fin dall’inizio, e lo fa giocando su una meravigliosa fotografia smorta, un bosco oppressivo, fantasmi del passato che riemergono, suoni e visioni ipnotiche che tormentano i protagonisti fin dal loro ingresso nella foresta. A questo ingrediente si aggiungono le suggestioni di mitologie nordiche che sanno già di sangue e sacrifici umani e che funzionano da molla per la fantasia dello spettatore che contribuisce a riempire i non detti. Occulto, paganesimo, caproni sventrati, sacrifici umani, rune incise sui tronchi, esoterismo, antichi culti dimenticati: se siete fan di ‘sta roba Il rituale vi delizierà.

Difetti? Beh, ad esempio il fatto che il film, per una sua buona fetta, non faccia paura, ma che semplicemente prepari quello che verrà in scena dopo, senza però tralasciare la tensione che è costante. Gli attori sono abbastanza bravi, ma di certo avrebbero potuto essere più incisivi, anche la risoluzione finale può lasciare parzialmente insoddisfatti, ma nessuno ha mai parlato di capolavoro.

Parliamo dunque di un horror furbetto, piacione, che viene incontro ai gusti di buona parte del pubblico e che qualcuno potrebbe persino definire paraculo, sta di fatto che si tratta di un prodotto ottimo, che non sfigura affatto accanto a titoli ben più (ingiustamente) blasonati, soprattutto tenendo conto dell’inesperienza del regista e della distribuzione netflixiana.

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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