
Il sapore della ciliegia: il senso della vita a Teheran è ancora un po’ acerbo
Sembra proprio che a parlar male, o meglio, a criticare alcuni aspetti di certi film, si debba essere necessariamente additati come buzzurri capaci solo di reggere un film di Boldi&DeSica. Operazione rischiosissima, quindi, soprattutto se ancora non si scrive per il Morandini. Però ho impiegato non una, bensì due sere nella visione de Il sapore della ciliegia, dunque il tempo investito è tale da poter correre il rischio. Due sere, perché la prima volta sono rovinosamente crollata addormentata – per carità, giornata impegnativa, cambio di stagione, cena pesante e tutto quanto, però a pari condizioni con altri film non è successo.
La trama de Il sapore della ciliegia all’apparenza è parecchio intrigante: nella polverosa, desolata e giallastra periferia di Teheran, un uomo (Homayoun Ershadi) va in cerca di qualcuno disposto, dietro lauto compenso, a svolgere un compito per lui. La missione è presto detta: il mattino dopo, chi accetterà l’incarico dovrà recarsi presso una buca, chiamarlo due volte e, in assenza di risposta, ricoprire il suo corpo di terra. Un giovane soldato curdo (Safar-Ali Moradi), turbato, rifiuta, così come un seminarista afgano; l’aspirante suicida trova invece un interlocutore, se non bendisposto comunque in grado di capirlo, in un anziano contadino turco (Abdolrahman Bagheri).
Sullo sfondo di palazzoni di cemento appena abbozzati e accenni di deserto, i due intraprenderanno un dialogo delicato e quasi filosofico sulla vita, sul suo senso, sulla possibile colpa insita nell’atto del togliersela. Finale altrettanto lirico e sfumato.
Sia chiaro: Il sapore della ciliegia, che nel 1997 valse la Palma d’Oro a Cannes al regista Abbas Kiarostami, è tutt’altro che un brutto film. Anzi, sotto molti aspetti – dialoghi, scenari, suggestioni – si può dire che sia proprio un bel lavoro. Solo che sembra più un patchwork di riflessioni che un film vero e proprio. Il ritmo è lento, e credo che nessuno si aspetterebbe di trovarsi davanti a Fast&Furious; però, in certi punti è un po’ troppo lento. Da qualche parte ho letto che “esige una visione impegnata”: ecco, io ritengo che un film debba essere un piacere per gli occhi e per la mente, e non esigere, né tantomeno una visione impegnata.
Alcuni momenti potrebbero ricordare i toni fiabeschi di Pollo alle prugne, ma non abbastanza; i pensieri del protagonista, per quanto velati di profondità, non sono memorabili, e impallidiscono al confronto di Sunset Limited, film per la tv (!!!) inspiegabilmente passato in sordina che sullo stesso tema rasenta la perfezione.
A un certo punto, il contadino suggerisce al protagonista di non dimenticare Il sapore della ciliegia: ecco, il film omonimo è come un frutto ancora un po’ acerbo. Quindi guardatelo, perché sarebbe cafone e superficiale e provinciale non farlo; poi però vedetevi, dello stesso regista, Copia conforme, girato ben tredici anni dopo: forse Kiarostami è come certi vini, e migliora col tempo.