Film

Il viaggio di Arlo: Il western ai tempi dei dinosauri

Classificazione: 3.5 su 5.

La Disney-Pixar ci ha regalato tanti capolavori: la trilogia di Toy Story, Gli Incredibili, Wall-E, Up… In mezzo a queste perle si rischia però di dimenticare alcuni piccoli film, considerati minori, che in realtà meriterebbero maggiore considerazione. Uno di questi è senz’altro Il viaggio di Arlo (The Good Dinosaur, in originale).

Uscita nel 2015, questa pellicola ha avuto una genesi alquanto travagliata. Il fatto che il regista scelto inizialmente, Bob Peterson, sia stato sostituito in corsa da Peter Sohn a causa di problemi con la sceneggiatura (Peterson non sapeva come concludere il film) è solo la punta dell’iceberg. Di fatto Il viaggio di Arlo è stato oggetto di una vera e propria “ristrutturazione” interna, con tanto di modifiche e aggiunte dell’ultimo minuto apportate alla storia. I problemi non hanno risparmiato neanche il cast di doppiatori originali, con John Lithgow costretto a passare la palla a Jeffrey Wright nel ruolo del padre del protagonista. Pertanto, a fronte di tutta questa odissea produttiva, è notevole che il risultato finale sia tutto sommato piacevole.

Dinosauri
Neanche un mese e torno già a parlare di dinosauri!

Il viaggio di Arlo parte da una premessa intrigante: cosa sarebbe successo se il meteorite che ha causato l’estinzione dei dinosauri non si fosse schiantato sulla Terra? Come si sarebbero evoluti quei lucertoloni? Beh, ovviamente sarebbero andati a vivere in una versione cyberpunk di New York governata da uno pseudo-Donald Trump… ah no, scusate, quello è Super Mario Bros! La verità è che dopo milioni di anni dalla tragedia sfiorata, i dinosauri sarebbero diventati più intelligenti e avrebbero iniziato, oltre che a parlare, a svolgere quelle attività che nel nostro mondo hanno segnato l’inizio della civiltà: agricoltura e allevamento.

E proprio da una famiglia di apatosauri agricoltori nasce il nostro protagonista, Arlo. Minuto e fifone all’inverosimile, il piccolo dinosauro è un ragazzino inetto che, nonostante la buona volontà, non riesce a rendersi utile in niente, dimostrandosi più che altro un peso per i genitori e i due fratelli. Le cose peggiorano quando il padre muore in seguito a un’alluvione, costringendo la famiglia a darsi ancora più da fare per completare il raccolto prima dell’inverno. Raccolto che viene in parte divorato da un misterioso “parassita”, un giovane cavernicolo muto di nome Spot. Nel goffo tentativo di allontanarlo dalla fattoria, Arlo cade in un fiume e, trascinato dalla corrente, si ritrova in un ambiente selvaggio e ostile. A questo punto dovrà trovare il modo di tornare a casa, aiutato inaspettatamente proprio da Spot…

Arlo e Spot
La strana coppia

Il film di Peter Sohn è quindi la storia di un viaggio (come se il titolo italiano non fosse già abbastanza esplicativo). Viaggio che, seguendo la grande tradizione dei road movie, coincide con un percorso di formazione da parte del protagonista: costretto ad affrontare mille pericoli, tra feroci predatori e calamità naturali, Arlo per sopravvivere dovrà maturare e imparare a superare le proprie paure, diventando finalmente uomo. Un po’ scontato, dirà qualcuno, e in effetti è così. In fondo la pellicola non brilla per originalità. Inoltre non si può dire che il protagonista non sia irritante, specialmente per la quantità di urli che lancia durante tutto il lungometraggio (piccolo suggerimento: non fateci un giochino alcolico se non volete rischiare il coma etilico).

Arlo e Spot
Arlo si è offeso

Eppure Il viaggio di Arlo convince. Non solo perché riesce a mascherare molto bene le sue numerose vicissitudini produttive, ma anche perché propone un’avventura coinvolgente ed emozionante, che alterna perfettamente azione, ironia e drammaticità. Al centro di tutto vi è il legame tra Arlo e Spot, dapprima conflittuale, ma sempre più simbiotico man mano che gli eventi si sviluppano. Una storia d’amicizia che regala tante risate ma anche parecchi momenti commoventi. A questo proposito, il mutismo del piccolo primitivo fornisce l’occasione per mettere in scena attimi di pura poesia, in cui i dialoghi scompaiono quasi del tutto e lasciano che siano le sole immagini a raccontare (come quando Arlo e Spot “parlano” delle rispettive famiglie).

Le meravigliose musiche di Mychael Danna, anche lui un sostituto (in principio doveva essere Thomas Newman il compositore), rappresentano senz’altro un valore aggiunto, così come la qualità delle animazioni. A colpire sono soprattutto gli ambienti, renderizzati in maniera così fotorealistica da far quasi stonare il design più cartoonesco dei dinosauri (l’acqua in particolare sembra vera).

Pterosauri
E la Dingo Pictures può accompagnare solo!

La cosa però che mi ha più sorpreso e che mi ha fatto innamorare della pellicola è che, nonostante sia ambientato nella preistoria, Il viaggio di Arlo è sostanzialmente un western. Fateci caso, sono innumerevoli gli elementi che rimandano al genere cinematografico americano per eccellenza. Potrei cominciare paragonando lo “scontro” tra il protagonista e le insidie del mondo esterno all’eterno conflitto tra civiltà e natura selvaggia (wilderness) alla base dei film di cowboy. Ma le analogie non si fermano qui.

La casa di Arlo, posta al confine con le terre inesplorate, ricorda infatti una delle tante fattorie costruite sulla frontiera presenti in numerosi western (ad esempio Sentieri selvaggi), mentre lo stiracosauro strambo che consiglia il giovane apatosauro all’inizio del viaggio è palesemente uno stregone indiano. Più avanti poi il protagonista incontra tre tirannosauri che si rivelano mandriani (uno dei quali è doppiato da un vero cowboy come Sam “Baffoni” Elliott) e che devono vedersela con dei ladri di bestiame, qui rappresentati da un branco di velociraptor. Infine il rapporto tra Arlo e Spot è identico a quello bambino-cane di Zanna Gialla, solo che in questo caso l’uomo è l’animale e viceversa.

Tirannosauri
“Tutti i dinosauri temevano il T-Rex” (cit.)

Vuoi per lo scarso interesse del pubblico o per la poca pubblicità, Il viaggio di Arlo è stato un mezzo flop al botteghino. E un po’ mi dispiace perché, per quanto forse non sia all’altezza della maggior parte dei film della Pixar, resta comunque un’opera interessante, visivamente stupenda e capace di suscitare emozioni genuine. Spero perciò che venga rivalutato al più presto e che non finisca nel dimenticatoio. Se succedesse sarebbe un vero peccato.

Fabio Ferrari

Classe 1993, laureato al DAMS di Torino, sono un appassionato di cinema (soprattutto di genere) da quando sono rimasto stregato dai dinosauri di "Jurassic Park" e dalle spade laser di "Star Wars". Quando valuto un film di solito cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma talvolta so essere veramente spietato. Oltre che qui, mi potete trovare su Facebook, sulla pagina "Cinefabio93".
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