
Il vizio della speranza – Il nuovo capitolo del libro dei racconti di De Angelis
C’è sempre una prima volta, e Il vizio della speranza è stata la mia prima volta. Al buio. Completo. L’unica cosa di cui ero a conoscenza era il nome del giovane regista, Edoardo De Angelis, consacrato definitivamente con il delicatissimo Indivisibili uscito lo scorso 2016. Già due anni… Sto iniziando a sentirmi vecchio.
Seduto sul mio seggiolino (neanche troppo comodo), mi sono completamente lasciato andare, alla scoperta di quello che si è rivelato essere il nuovo capitolo del libro dei racconti di De Angelis. Tra senzatetto, prostitute e maternità negate mi sono ritrovato, ancora un volta, nell’Italia della periferia. Ma questa volta non a Roma… bensì a Napoli.
Era ora di cambiare un po’.
Natura Matrigna e perfidia femminile
Maria è una donna solitaria, dalle fattezza quasi mascoline. Si aggira per un sobborgo marittimo di Napoli, sotto il cappuccio di una felpa e con il suo cane, di nome Cane; si prende cura della madre e come lavoro porta giovani ragazze a partorire. Purtroppo, i figli sono destinati a famiglie ricche e mai mostrate nel film, che comprano i pargoli per laute somme direttamente nelle casse della Zia mafiosa. Un avvenimento inaspettato, però, sta per sconvolgere la vita di Maria.
Come il recente Dogman di Garrone, De Angelis mette in scena un ambiente iperrealistico e surreale allo stesso tempo, fotografato in maniera splendida e colmo di atmosfera; uno spicchio di un universo totally pink, in cui la donna è donatrice di vita e causa del suo stesso dolore. Il vizio della speranza mostra allo spettatore, uomo o donna che sia, la beltà dell’essere una mamma e di come si arrivi a instaurare un legame fortissimo con il proprio piccolo ancora prima che questo venga al mondo.
Rinchiuse in questo angolo di mondo, Maria (interpretazione viscerale e assoluta di Pina Turco) e le altre donne de Il vizio della speranza non riescono ad assaporare la libertà e sono le portavoci di urla ancora una volta fuori dal coro. Eppure, non perdono mai… la speranza, esatto. Ruvido, ispido e freddo, la favola nera del regista Napoletano nasconde al suo interno un cuore caldo e un animo gentile; è un riparo accogliente in una nottata di pioggia ed è un affettuoso omaggio a tutte quelle donne che… non perdono la speranza. Bravi di nuovo
Saremo ancora nelle periferie marce e sporche, saremo forse ancora un po’ troppo retorici, ma il Cinema italiano sembra stia prendendo una strada definita. Finalmente.
Permettetemi due brutte parole
Forse le mie condizioni psicofisiche non saranno state erano ottimali, ma in tutto questo brodo di giuggiole ho assaggiato anche qualche rapanello amaro che non mi ha fatto digerire al meglio Il vizio della speranza. Innanzi tutto, il film cerca… COSTANTEMENTE… di commuoverti in ogni occasione. Prova anche nei momenti non appropriati a strapparti una lacrima (*piccolo spoiler* come nella morte di Cane, Dio mio che odio) e questa formula, sinceramente, l’ho trovata un po’ troppo pedante.
I personaggi di contorno poi non hanno minimamente lo spessore per competere con Maria, tanto che l’unico di questi davvero interessante, Carlo Pengue, viene liquidato con troppo poco screen time rispetto alla sua importanza/bravura attoriale. E poi, troppa discontinuità nel ritmo… troppa per davvero!
Diciamo che quando in un progetto meritevole come Il vizio della speranza si calca troppo la mano, si rovinano le potenzialità per un eventuale capolavoro. L’ho detto per davvero.
Al di là dei pareri personali, Il vizio della speranza merita di essere visto e sostenuto, perché realizzato da un regista giovane, capace e perché non si può prescindere da questo genere di film. Specie se a dicembre uscirà il nuovo Cinepanettone.