
In Bruges, l’inferno ha i colori di una città fiamminga
Se ne è già sentito parlare a Venezia lo scorso settembre, se ne sente parlare ora che è uscito in sala, se ne sentirà parlare nei prossimi mesi. Già vincitore di quattro statuette ai Golden Globes 2018, Tre Manifesti a Ebbing, Missouri è il primo grande film dell’anno appena cominciato. Premiato per la miglior sceneggiatura alla rassegna lagunare è uno pezzi da novanta che proverà a contendersi i premi più ambiti agli Oscar il prossimo 4 marzo. Noi del MacGuffin ne abbiamo già parlato in questo articolo che vi consiglio caldamente di leggere qualora foste indecisi sull’andare o meno al cinema a vederlo.

Facciamo però un paio di passi indietro, torniamo nel 2008. Martin McDonagh, regista e sceneggiatore di Tre Manifesti, esordisce al cinema col suo primo lungometraggio: In Bruges. Autore teatrale irlandese di una certa rilevanza (basti sapere che alla tenera età di 27 anni quattro dei suoi spettacoli sono rappresentati contemporaneamente nei teatri di Londra, impresa riuscita solo a quel talentuoso ragazzo di nome William Shakespeare), McDonagh fa il pieno di consensi di critica e pubblico con una insolita commedia intrisa di black humor con una punta di noir.
In Bruges ci racconta la vicenda di due assassini professionisti (interpretati pregevolmente da Brendan Gleeson e Colin Farrell) costretti a scappare a Bruges, in Belgio, dopo aver combinato un pasticcio a Londra durante una missione.
“Dopo averli uccisi ho buttato la pistola nel Tamigi, mi sono lavato le mani nel bagno di un Burger King e sono tornato a casa ad attendere istruzioni. Poco dopo le istruzioni arrivarono. Andatevene via da Londra deficienti rincoglioniti, andate a Bruges.”
Il film ci fa capire subito che direzione vuole prendere. Come il protagonista, che dopo aver commesso qualcosa di tanto grave come un omicidio va a lavarsi le mani in un posto banale quanto squallido come un fast food, In Bruges mescola il serio con il demenziale, delinea personaggi tanto inverosimili quanto umani, è un mix di generi, toni e atmosfere. È un film di personaggi noir incapaci di fuggire alla tragicità delle proprie vite e al contempo una commedia che fa facile ironia su americani troppo obesi e nani razzisti vestiti da scolaretti. In Bruges balla sul confine tra commedia nera e dramma (vero e profondo) creando una miscela inedita che ad oggi è il marchio di fabbrica del regista.
Oltre questa commistione di elementi che alla lunga potrebbe sfociare nel banale esercizio di stile, McDonagh dona ai suoi personaggi un’umanità profonda, spesso in contrasto con la stravaganza degli stessi. Come poi anche in 7 Psicopatici e in Tre Manifesti uno dei protagonisti (Ray, ovvero Colin Farrell) è particolarmente stupido, irritante e artefice di azioni deprecabili. Ciò nonostante non si riesce a non amarlo, empatizzare con lui è il cuore del film. Il regista ci fa capire il suo dramma e quindi, malgrado tutto, tifiamo per lui.
I riferimenti ai film noir non sono casuali (nella camera d’albergo dei protagonisti è trasmesso alla tv L’infernale Quinlan, capolavoro del genere di Orson Welles), come le grandi metropoli di quelle pellicole, Bruges diventa lentamente una prigione per i protagonisti, nonostante la sua bellezza caratteristica cozzi con l’architettura disumanizzante delle grandi città. Tra un dipinto fiammingo sul giudizio universale e un’ampolla di sangue sacro, McDonagh porta i personaggi a riflettere sull’esistenza dell’inferno (non è un caso che entrino in scena traghettati con una barca su di un canale, riferimento a Caronte), su cosa sia e su dove si trovi davvero. Li porta a confrontarsi con la propria coscienza e sul diritto di avere una vita nonostante la professione che portano avanti. Sull’accettare l’espiazione delle proprie colpe in contrasto con l’istinto di volerne fuggire. Dall’inferno non si scappa, nemmeno da Bruges.
A impreziosire la pellicola, poi, anche l’interpretazione di Ralph Fiennes che porta sullo schermo il mandante dei due assassini. Un boss malavitoso borderline ma dal rigido codice morale la quale schizofrenia viene restituita con il solito istrionismo dall’attore inglese.
In Bruges è una grande opera prima che porta in sala un autore che per scrittura di personaggi e dialoghi e per il suo cinico senso dello humor può ricordare a tratti i fratelli Coen. Una commedia nera tanto demenziale in alcuni suoi punti quanto profonda in altri che ci parla di inferno e redenzione tra una battuta scorretta e l’altra.